ECCO IL DIARIO DI MATTEO TRICARICO 15.000 chilometri “Dal Vietnam all’Italia”

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In Diretta Pubblichiamo i capitoli del bellissimo viaggio di Matteo Tricarico, in viaggi  “Dal Vietnam all’Italia per aiutare i diversabili” 

 “Dal Vietnam all’Italia per aiutare i diversabili”

Galleria fotografica e video sul sito www.travelforaid.com  

(PHNOM PENH, Cambogia 13 ottobre 2009, 16:08)

Il 10 ottobre 2009, è cominciato il viaggio sportivo-umanitario di 15.000 chilometri, che nei prossimi dieci mesi mi porterà, inforcando una bicicletta, attraverso Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia, Myanmar, Bangladesh, Nepal, India, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia ed Italia. L’itinerario definitivo congiungerà punti costituiti da istituti per diversabili e scuole per bambini poveri nei paesi attraversati. All’iniziativa, cui aderiscono organizzazioni non governative che operano nel settore, è associata la raccolta fondi per portare un aiuto concreto a favore di progetti specifici in quei paesi.

Le informazioni complete sull’aspetto umanitario di questa avventura sono sul sito ufficiale dell’associazione benefica organizzatrice la Travel For Aid (www.travelforaid.com), qui riporterò le mie esperienze di viaggio, con la maggiore frequenza possibile considerando che attraverserò paesi come la Birmania conosciuti per la difficoltà e la scarsità di collegamenti internet.

Ufficialmente, il progetto ha avuto inizio il 9 ottobre, con la  visita alla Fondazione Cristina Noble a Saigon (Vietnam), che da circa un ventennio gestisce un orfanotrofio per infanti disabili che i genitori hanno abbandonato perché senza possibilità materiali per poterli mantenere. Nonostante abbia acquisito, durante il mio anno di servizio civile per la Croce Rossa Italiana, varie esperienze di rapporti con persone portatrici di handicap, la visita dell’istituto è stata molte toccante e dolorosamente istruttiva. Ho appreso che molti dei bambini  presenti non sono nati con disfunzioni psico-motorie ma che queste sono state causate da malnutrizione o dalle pessime condizioni sanitarie in cui hanno trascorso i primi mesi di vita. Poveri neonati, se fosse stati meglio nutriti e in un ambiente igienicamente più sano non si sarebbero trovati li con i veri ultimi degli ultimi!  

La reale partenza da Saigon il giorno 10 è stata ritardata di circa due ore da una foratura alla ruota posteriore solo qualche centinaio di metri dall’albergo in cui alloggiavo e dalla rottura del piccolo treppiedi che ho installato sul volante e su cui ho fissato una piccola cinepresa che mi permette di riprendere mentre pedalo. Riparati i danni, mi sono diretto dal centro della città verso nord, rimanendo imbottigliato per almeno un’altra ora nel traffico dei 5 milioni di saigonesi che nell’ora ora di punta di mezzodì si spostano in motorino e del milione che invece usa la bicicletta. A 20 chilometri dalla metropoli, sono stato colto da una pioggia battente che ha portato un certo refrigerio e mi ha dato la possibilità di constatare l’impermeabilità delle coperture del bagaglio fatte confezionare su misura. Vista l’esperienza dei viaggi precedenti,  l’ultimo dei quali di 5000 chilometri da Saigon a Bali (Indonesia) si  è concluso il 3 giugno scorso (il diario è sul mio sito personale www.matteot.com ), porto con me il minimo indispensabile per questi climi sub-tropicali, con l’intenzione di acquistare capi d’abbigliamento più pesanti man mano che salgo a nord del Tropico. Per ora mi bastano: due pantaloncini e tre magliette da ciclista; tre paia di mutande, due di calze ed un costume da bagno; un paio di scarpe chiuse con la suola di gomma ed uno di sandali; due pantaloni lunghi con cerniera che diventano corti; due magliette polo ed una in microfibra; prodotti per l’igiene personale e crema solare protezione 75; un’amaca con zanzariera ed un sacco a pelo di seta; chiavi per riparare la bicicletta; una guida del Myanmar, mappe stradali e “Comici spaventati guerrieri” di Stefano Benni; materiale digitale per filmare e fotografare, un lettore mp3 ed un notebook computer, più tutti i cavi e trasformatori il cui peso e volume è superiore a quello che servono a ricaricare! 

Nel primo pomeriggio, ho attraversato la zona di Cu Chi dove si trovano i tristemente famosi tunnels che si estendono in un reticolo di cunicoli su tre livelli per circa 200 chilometri e dove un’intera generazione di vietnamiti del luogo ha vissuto per più di una decina d’anni. L’area, per sua sfortuna, si trova tra il confine cambogiano alla fine della Pista di Ho Chi Minh, dove erano situate le roccaforti dei Vietcong, e Saigon. Gli americani bombardarono estensivamente la zona, così la popolazione fu costretta a rifugiarsi sottoterra creando, nel corso degli anni, un’intera città sotterranea con dormitori, scuole, ospedali, officine e cucine che disperdevano il  fumo con un ingegnoso sistema di condutture impossibile da individuare dal suolo. Ho spesso fatto da guida a gruppi di turisti in visita ai tunnels e quello che colpisce maggiormente sono le dimensioni anguste dei cunicoli, non più alti di un metro e cinquanta, bassi anche per i minuti vietnamiti, e dei locali comuni che erano frequentati a turno e a piccoli gruppi così da ridurre il numero di morti in caso di crolli. 

Ho sbrigato le pratiche doganali per l’uscita dal Vietnam e l’entrata in Cambogia molto velocemente nonostante non avessi la foto tessera da apporre sulla richiesta di visto cambogiano. La questione si è risolta con il pagamento di un dollaro americano come extra tassa e ho attraversato il confine che divide i due paesi ma anche le due maggiori culture asiatiche: quella indiana e quella cinese. Queste due civiltà millenarie si toccano per migliaia di chilometri ma non hanno quasi mai subito un processo di sincretismo perché si basano su due fondamenti filosofici diametralmente opposti che influenzano il comportamento umano. Seguendo i dettami di vita sociale impartiti da Confucio nel V secolo avanti Cristo, il cinese tende a vedere la vita in modo molto pragmatico, finalizzando la sua esistenza all’arricchimento materiale che porta giovamento a tutta la comunità. Al contrario, l’India  è la patria del misticismo trascendentale che porta l’individuo a fuggire i piaceri corporali per dedicarsi all’arricchimento dello spirito estraniandosi da qualunque desiderio materiale. Ancora, per il cinese il bene del singolo è il bene della società che riconosce ed apprezza chi lavora duro ed ha successo economico senza troppo preoccuparsi di questioni etiche e “morali”, per usare un termine cristiano, sul come questo successo è raggiunto. E, secondo la classificazione confuciana dei lavori, la considerazione sociale deve essere maggiore per chi produce materialmente un bene rispetto a chi semplicemente lo commercia. All’inverso, l’ordine delle caste indiane pone artigiani e contadini ben al di sotto dei commercianti. C’è la storiella del pescatore indiano e di quello cinese che chiarisce ancora meglio la diversità delle due culture. Se un pescatore indiano fa un’abbondante pesca si riposa con la famiglia per tre giorni prima di tornare al mare; invece, se un pescatore cinese fa un altrettanto copiosa pesca, ritorna nello stesso punto i giorni successivi finché non c’è più pesce cosi con i maggiori profitti compra un’altra barca e poi una flottiglia… Perciò, c’è poco da sorprendersi del successo industriale e commerciale della Cina di oggi che ha alle spalle 2500 anni di tradizione tesa al successo materiale ed ora sta esprimendo il meglio di se nel sistema capitalistico globale. Tutte queste differenze si notano bene passando da una parte all’altra del confine tra la Repubblica Socialista del Vietnam ed il Regno di Cambogia. Ma si possono osservare anche altre diversità come quelle somatiche, con la carnagione bianca, i tratti del viso appuntiti e gli occhi decisamente mongolici del popolo dei Viet, contro lo scuro quasi olivastro con grandi occhi e la mascella prominente dell’etnia Khmer; oppure l’abbigliamento femminile con le donne cambogiane che portano lunghe gonne simili ai sarong indiani contro i pantaloni unisex delle vietnamite e cinesi; o ancora la lingua monosillabica-tonale del Vietnam e quella atonica dei Khmer. Per ragioni personali e caratteriali mie, sono contento di aver lasciato il mondo cinese, di cui non ne condivido troppo la filosofia di vita, e sono lieto di essere entrato in quello indiano che trovo più vicino alla mia personale visione del mondo ed in cui mi sento più a mio agio.   

Ho trascorso la notte del 10 ottobre in un alberghetto da 12 USD a notte a nella cittadina di frontiera di Bavet, che si presenta come una piccola Las Vegas asiatica con gli hotel-SPA-casinò che si susseguono, uno più pacchiano dell’altro, lungo la strada principale. Questi sono principalmente meta di comitive di vietnamiti, visto che nel loro paese sono vietati sia il gioco d’azzardo che la prostituzione, e questa differenza va ad aggiungersi a quelle precedentemente elencate; in generale, nella cultura cinese lo stato tiene molto più a cuore la moralità del cittadino rispetto a quella indiana che gli lascia molta più libertà. Il giorno successivo, me la sono presa un po’ comoda partendo alle 9:00 e ho coperto agevolmente i 100 chilometri di distanza sino a Neak Loueng dove ho passato la notte. Nonostante non sia particolarmente allenato, non ho avuto difficoltà a pedalare senza alcun problema muscolare per quasi sei ore sulla pianura alluvionale creata dal sedimentare millenario dei detriti portati a valle dal Fiume Mekong. Agli occhi il terreno si presenta come una distesa ininterrotta di risaie e vaste aree inondate dall’acqua tanto che la strada è sopraelevata di alcuni metri per non essere sommersa, infatti, sino ad un passato recente queste contrade erano raggiungibili sei mesi all’anno via terra e gli altri sei in barca. Il paese di Neak Loeung deve la sua esistenza al traghetto che da qui parte per attraversare il Mekong inferiore carico di camion, autobus, motorini, biciclette e persone verso la città capitale Phom Penh. Ho comprato un cappello di paglia a falde larghe che trovo la migliore difesa contro il sole tropicale oltre ad essere comodo da ripiegare come i copricapi datti di Panama. 

Il giorno 12 sono arrivato nella capitale cambogiana nel primo pomeriggio e mi sono diretto a casa di Stefano e sua moglie Jennifer, due italiani che vivono in qui da un decennio con i loro due figlioletti. Resterò a dormire da loro per tutta la mia permanenza a Phnom Penh, che dovrebbe durare almeno una settimana, dove, oltre a rivedere amici e colleghi di lavoro, andrò in giro per ambasciate per finalizzare alcuni dei visti che mi serviranno per attraversare paesi ostici a concederli. Ma questo ve lo racconterò quando accadrà… 

Questo è quanto per il momento, le foto ed i video sono sul sito www.travelforaid.com . Alla prossima…