Il 23 ottobre 2002 900 persone vengono prese in ostaggio per tre giorni da alcuni guerriglieri ceceni in un teatro a Mosca.
Vi ho lasciati con il ricordo dell’attentato alla scuola di Beslan e oggi voglio fare un passo indietro e dedicare un altro pensiero al non meno importante attentato avvenuto tra il 23 e il 26 ottobre 2002 presso il teatro Dubrovka a Mosca.
Quella sera andava in scena il musical Nord Ost; dietro e davanti il sipario si contavano circa 900 persone. Durante lo spettacolo una quarantina di sequestratori ceceni fa irruzione nel teatro prendendo in ostaggio tutti i presenti.
Le richieste da parte dei sequestratori sono sempre le stesse: fermare la guerra in Cecenia. Ovviamente niente viene fatto in questa direzione né da parte del governo russo né da parte di quello ceceno. Fuori da quel teatro, in quei tre giorni di inferno, c’erano tutti tranne chi poteva davvero fare qualcosa. Anche Anna Politkovskaja assisteva alle trattative- questa volta nessun drink avvelenato le aveva impedito di esserci.
Il terzo giorno il Cremlino ordina l’intervento delle forze armate, le quali dopo aver diffuso nell’ambiente un gas nocivo che determina in alcuni una crisi respiratoria letale, entrano nel teatro uccidendo la maggior parte dei sequestratori e alcuni ostaggi. Il bilancio è di circa 130 vittime.
Usando un termine teatrale le tragedie di Beslan e Dubrovka sembrano aver seguito lo stesso copione, sebbene purtroppo non si stia parlando di una farsa teatrale ma di una triste realtà.
Ciò che rende l’attentato Dubrovka una tragedia a tutti gli effetti è il post-sequestro, così come è avvenuto per Beslan. In entrambi i casi le vittime e i loro famigliari sono stati abbandonati a se stessi e al loro dolore, lo stato non è intervenuto come avrebbe dovuto, la giustizia e la verità hanno ceduto il passo all’ambiguità e al complotto.
Nel caso dell’attentato al teatro Dubrovka molti degli ostaggi feriti non sono stati assistiti a dovere e alcuni sono stati lasciati morire nei corridoi degli ospedali solo perché ceceni o con un cognome che alla lontana poteva far pensare ad un’origine non russa. I sopravvissuti vengono suddivisi in due gruppi: ci sono i russi, dimessi dagli ospedali senza nemmeno un certificato che attesti di essere stati ostaggi di quel sequestro e che impedisce loro di richiedere un risarcimento; e poi ci sono i ceceni, privati delle cure mediche necessarie, arrestati senza spiegazioni per presunta collaborazione con il terrorismo, colpevoli solo di avere in comune con i sequestratori la nazionalità.
Perché sono passati tre giorni prima che lo stato decidesse di intervenire? Perché si è scelto di esalare un gas letale per fermare i terroristi, mettendo a rischio la vita degli ostaggi? Perché non è ancora chiara la natura di quel gas? Perché la maggior parte dei sequestratori sono stati uccisi e non arrestati e processati? Come si spiega l’incompetenza dell’assistenza medica? Tanti perché sono sorti spontaneamente per fare chiarezza su questa vicenda, sebbene ciascuna di queste domande non abbia ancora ricevuto una risposta.
Le vicende del teatro Dubrovka e della scuola di Beslan non sono accomunate solo da uno stesso copione ma anche dal medesimo destino crudele. In entrambi i casi l’indagine avviata per punire i colpevoli è stata chiusa senza ottenere alcun risultato di rilievo. Le forze armate non sono state ritenute colpevoli per aver usato un gas letale; i terroristi sono rimasti senza un’identità; la morte degli ostaggi non è stata attribuita all’assunzione della sostanza nociva che aleggiava nel teatro.
Ancora una volta molto di tutto ciò che è successo in quei giorni si sarebbe potuto evitare, se solo dall’alto si fossero un pò meno preoccupati di passare all’estero un’immagine trionfante contro il terrorismo internazionale e avessero avuto un po’ più cura dei propri cittadini, vittime di quel sequestro, che di quell’immagine ne sono l’anima.
Ancora una volta il colpevole, chiunque esso sia, ne è uscito pulito e a pagare sono stati gli innocenti, russi e ceceni a bordo della stessa barca della disperazione.
Per ricordare…