Pur non essendo un critico cinematografico, ma un semplice estimatore del grande schermo, ho atteso con impazienza l’uscita di due film che hanno fatto, e faranno, giustamente discutere gran parte della critica e del pubblico: “Baaria” di Giuseppe Tornatore ed “Avatar” di James Cameron.
Certamente sono stato spinto a vedere l’ultimo di questi due anche grazie al fatto di poter osservare finalmente un film fatto con esseri umani, e non un cartone animato, in tre dimensioni, un’innovazione che nasce a mio avviso sicuramente da due fattori: sia la necessità di sperimentazione insita in ogni artista, e dunque di ogni regista, e sia l’esigenza di combattere il fenomeno, sempre più diffuso, della pirateria. Infatti se si ricomincia ad andare al cinema per assistere ad un unicum, ad un qualcosa che solo nella sala cinematografica è possibile vedere, allora questa importatissimo mezzo di comunicazione inizierà a riprendere un minimo di senso, a destare ancora un po’ di curiosità non solo fra gli appassionarti, ma anche fra i comuni mortali. Certamente il dolby surround, la migliore qualità delle immagini contribuisce ad invogliare lo spettatore, ma la rinascita del cinema deve partire dalla possibilità di vedere una pellicola in tre dimensioni. Più che una rinascita deve essere anzi una rivoluzione, o meglio anche una semplice rinascita, ma che guardi al futuro e proponga un cambio radicale, non un taglio netto, piuttosto una corretta evoluzione di un cinema che ristagna sempre di più ormai da anni. Nessuno credo vorrebbe vedere certamente opere quali “La strada” o “Taxi Driver” in questa maniera, ma per i film prodotti dopo “Avatar” il tre dimensioni deve essere, e sarà, un must.
Tuttavia questo articolo non è una digressione sul futuro del cinema, ma piuttosto sull’importanza del messaggio veicolato da questi e su una vergognosa esclusione, dettata credo certamente da questioni di egemonia economica piuttosto che da una reale valutazione qualitativa delle due opere, ma anche spia di un imbastardimento culturale che ha ormai raggiunto proporzioni globali.
Fermo restando che apprezzo entrambi i registi, non comprendo difatti come si possa premiare, o anche semplicemente nominare per l’oscar “Avatar” e mettere fra i grandi esclusi “Baaria”: se parliamo da un punto di vista tecnico, forse posso se non concordare, almeno accettare la decisione, ma il punto è proprio questo: un film non è solamente tecnica, è un concetto. Siamo sicuri che il concetto, e cioè il senso di “Avatar” sia poi realmente così profondo ed importante, un altro, possibile futuro, nel quale un popolo extraterrestre vive in armonia con la natura e sconfigge l’uomo, distruttore di ogni cosa? Personalmente mi appare quantomai scontato, ed anche ipocrita. Inoltre tale concetto, anche se potrebbe essere decente, viene letteralmente demolito dalle onnipresenti americanate, come ad esempio i modi di espressione del marines protagonista del film, divenendo una sorta di “Rambo” versione verde. Mi sbaglierò probabilmente, ma credo che l’unica fortuna di questo film sia il fatto di poterlo vedere a tre dimensioni. Di tutt’altra pasta invece “Baaria”, un viaggio all’interno della società meridionale italiana dagli anni venti agli anni ottanta, una sineddoche cinematografica portatrice di un valore storico e sociologico di importanza rilevantissima. Cos’è dunque più importante fra i due messaggi: il sogno utopico della resistenza di un popolo alieno all’uomo, eterno oppressore, oppure l’importanza storica di capire chi siamo come popolo, e la voglia di un regista di raccontare la sua nazione, tanto travagliata e complessa, attraverso un paese siciliano di nome “Bagheria”?
Non credo che le due cose siano paragonabili, almeno a livello di rilevanza culturale: da una parte un fenomeno mediatico aiutato enormemente da un’innovativa tecnica artificiale, dall’altra un film di classe, portatore di un messaggio di notevole spessore culturale .
Ovviamente la massa sceglie di vedere il primo, ma che il secondo venga addirittura scartato agli oscar è un’offesa a quell’attributo che a volte l’essere umano dimentica di possedere: l’intelligenza. O forse il punto è un altro: forse è realmente più importante anche nel cinema l’apparire piuttosto che l”essere, la forma invece della sostanza, e i due film in questione ed i riconoscimenti ottenuti e mancati rappresentano in maniera palese semplicemente la conclamata perdita totale di valori della società del nuovo millennio, in favore del perbenismo ipocrita e del consumismo sfrenato al quale siamo oggi costantemente abituati. Eppure qualche decennio fa non era così: “Baaria” ce lo mostra chiaramente, mentre “Avatar” ci mostra qualcosa che è tutto, tutto tranne che la realtà.
Perchè spesso la realtà, oltre che essere un muro contro il quale molte persone rifiutano di scontrarsi, è anche qualcosa che fa paura, e che alla massa piace evitare con l’eleganza dello sciocco del paese, che si mette la cravatta e scorda di indossare la camicia.