LA PSICHIATRIA AL SERVIZIO DEI SERVIZI SEGRETI RUSSI |
Scritto da Giorgia Deosti | |
domenica 15 novembre 2009 | |
Non c’è etica professionale che tenga. Ma solo e ancora corruzione, interessi, denaro distribuito sottobanco. Questo è ciò che ci racconta Anna Politkovskaja in La Russia di Putin a proposito di ciò che veniva architettato negli uffici del KGB per fermare l’attività indipendentista degli intellettuali dissidenti degli anni 60. Psichiatri allettati dall’idea di ricevere favori e succulente ricompense, venivano letteralmente reclutati per proferire a comando diagnosi psicologiche assolutamente fasulle a danno degli intellettuali del tempo che avevano osato sfidare il potere e che ora ne pagavano le conseguenze. Come? Venendo rinchiusi per anni in ospedali psichiatrici o lager nei quali subivano violenze psicologiche e fisiche e venivano imbottiti di psicofarmaci che li rendevano completamente incoscienti e incapaci di reagire o di testimoniare contro ciò che stavano subendo. Frequentatrice abituale degli uffici dei servizi segreti e fedele collaboratrice è stata per molti anni Tamara Pečernikova. La Politkovskaja nelle sue pagine ce ne parla più volte sottolineando come abbia privato di dignità la propria figura professionale determinando incoscientemente la rovina nell’esistenza di persone innocenti; lo fa riportando la terribile esperienza di due giornalisti russi, Aleksandr Ginzburg e Natal’ja Gorbanevskaja che negli anni 60 sono stati vittime dello stesso ignobile meccanismo di distruzione. Perché la storia è anche questo e perché è importante esserne consapevoli, riporto sinteticamente le storie di questi due giovani scrittori. Aleksandr Ginzburg sin da giovane dimostra il suo coraggio e la sua determinazione in favore della libertà di informazione. E’ infatti a solo ventitre anni che diventa autore della prima rivista samizdat (pubblicazioni clandestine), rifiutando l’anonimato. E’ questo il motivo per cui nel 1960 viene arrestato per la prima volta e confinato in un lager per cinque anni. Nel 1978 viene avviato il processo per calunnia al potere contro il giornalista ed è in tale occasione che Tamara Pečernikova dichiara malato psichiatrico e ne determina la condanna a otto anni di gulag che devasta il fisico dello scrittore ammalatosi di tubercolosi e al quale viene asportato un polmone. Qualche anno dopo viene mandato negli Stati Uniti in cambio di alcune spie sovietiche e in seguito si trasferisce a Parigi dove vivrà fino al 2002. Nel 1960 Natal’ja Gorbanevskaja negli anni 60 era un’attiva poetessa e giornalista dissidente, direttrice di un notiziario cartaceo, nato per informare sulla verità dei fatti durante il regime sovietico. Nel 1969 viene arrestata per aver scritto un libro sull’invasione della Cecoslovacchia. In quel momento ha inizio il suo calvario durato tre anni. La figura della Pečernikova entra in scena quando le si richiede di visitare la poetessa. La sua diagnosi è schizofrenia. I sintomi addotti a motivazione sono mancanza di emozioni, disinteresse per il futuro dei propri figli, incoerenza e trivialità. Ne consegue un internamento di tre anni in un ospedale psichiatrico di massima sicurezza. In quei tre anni la Gorbanevskaja è stata ininterrottamente imbottita di psicofarmaci per combattere una malattia che non aveva. Nel 1972 viene liberata e qualche anno dopo si trasferisce in Francia dove ancora oggi vive e lavora in difesa dei diritti umani. Per chi si chiedesse che fine ha fatto la dottoressa Pečernikova, viva e vegeta da più di cinquant’anni collabora con un istituto di psichiatria forense e pare che il tempo non le abbia fatto perdere le vecchie abitudini. La ritroviamo infatti nel 2000, quando è stata chiamata a testimoniare l’incapacità di intendere e di volere del colonnello Budanov, accusato di numerosi crimini di guerra in Cecenia. Inaspettatamente, questa volta il suo intervento non è valso a nulla perché Budanov è stato condannato a dieci anni di carcere, nonostante si pensi che la reale causa sia una mossa ben calcolata da Putin in occasione delle elezioni. Certo oggi non si parla più né lager né di gulag ma continuano le repressioni psicologiche e l’utilizzo inadeguato e per giunta illegale della propria autorità professionale. Basti pensare alla recente testimonianza-video del poliziotto russo stanco di subire angherie e pressioni dai suoi superiori. Se questi interventi valessero a qualcosa ce ne sarebbero a migliaia, ma quando si viene sapere che questo poliziotto è stato immediatamente licenziato si preferisce tacere. |