Quante sono le imprese italiane tra le 431 che hanno lo status di “Società europea”? Zero, cioè nessuna.
Nessuna S.R.L., nessuna SpA. Morale? Uno strumento nato per semplificare la vita alle imprese che operano sul mercato interno viene utilizzato in venti Paesi, ma non in quello con il più alto numero di imprese d’Europa.È il dato più sorprendente che emerge da uno studio recente effettuato per la Commissione europea, che ha appena avviato una consultazione pubblica per verificare il funzionamento dello strumento che dà la possibilità di riorganizzare le attività transfrontaliere sotto un’unica etichetta.
Lo statuto di “Società Europea” permette a queste imprese di operare all’interno di un quadro giuridico stabile, di ridurre i costi interni dovuti allo svolgimento delle attività in diversi paesi e di essere quindi più competitive sul mercato interno. Peccato che in Italia non si usi proprio.Eppure di società a statuto “europeo”, dal 2004 ne sono state create 137 in Repubblica Ceca, 91 in Germania, e oltre 200 in altri 18 Paesi UE come Francia, Gran Bretagna o Austria, ma anche Belgio o Cipro. Tra gli esempi di successo, le tedesche Allianz, BASF, Porsche, Fresenius e MAN, la francese SCOR, la lussemburghese Elcoteq e l’austriaca Strabag. L’Italia spicca per la sua assenza insieme a pochi (e piccoli) Paesi come Lituania, Malta o Grecia. Perché lo strumento ha riscosso notevole successo in alcuni Stati ma stenta a diffondersi in altri? Questa è la domanda che pone la Commissione europea nella consultazione, per vedere come migliorare lo strumento.Ma il dubbio, dal nostro punto di vista è un altro: colpa dello strumento (vedremo), o c’è un po’ della storica ritrosia nostrana a cogliere le opportunità che vengono dall’Unione europea? Le imprese italiane sono radicate sul territorio, e questa è la forza del sistema. Ma iniziare a considerare il mercato interno come la propria casa, o, se si vuol mettere in termini più aggressivi, come un terreno di conquista ricco di opportunità, forse non sarebbe male.