L’Ofelia di John Everett Millais – Un’Esperienza Personale

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È stata definita una delle opere più suggestive del Preraffaellismo. La prima volta che la vidi, per quanto un po’ macabra, mi colpì tanto per il virtuosismo tecnico (l’autore, enfant prodige, iniziò a quattro anni a disegnare, a undici fu ammesso alla Royal Academy), quanto per l’impatto emotivo. Il movimento a cui viene ascritta non fu mai apprezzato dai critici dell’epoca, né dai contemporanei, ad eccezione di John Ruskin, a cui Millais, peraltro, sedusse e sposò la moglie, annullando il precedente matrimonio. Il Preraffaellismo nasce a metà Ottocento, sotto la spinta di Dante Gabriel Rossetti, figlio di un carbonaro mazziniano emigrato a Londra, che con la sorella e altri giovani dà vita a una sorta di società segreta, traducendo l’azione patriottica del padre in campo artistico, tant’è che il gruppo viene definito Confraternita prima che ensemble umano o corrente pittorica. Lo scopo era quello di rimescolare il brodo primordiale in cui stagnava l’arte di allora, epurandolo dagli autocompiaciuti svolazzi accademici, restituendogli la virale genuinità del Botticelli, di Lippi e del Ghirlandaio. Un esempio su tutti viene dal V Canto dell’Inferno, da cui Rossetti prese spesso ispirazione, così come dalle opere shakespeariane ed alcuni episodi biblici. Il gusto preraffaellita aveva una propria carica preromantica capace di illuminare le tenebre medievali, il gotico, poeticizzandone i contenuti. Tanto lirismo era il risultato del bisogno di una spiritualità aperta alle novità sociali, che abbracciavano la fratellanza illuministica come la lotta al capitalismo. I quattro cardini su cui ruota la filosofia del movimento sono: idee chiare e genuine; studio attento della natura, per poter donare una vita e un substrato reale alle idee; trasferimento su tela delle emozioni, a prescindere dai dettami accademici; dispiego del colore direttamente sulla superficie imbiancata e ancora umida. Millais ha ventitre anni quando dipinge Ofelia, riconosciuta come il suo capolavoro. Il tocco è quello di un artista esperto, padrone di tutti i segreti del mestiere, e riesce a rendere palpitante una tragica figura femminile. Le dimensioni del dipinto (720×480 cm) sono notevoli, e all’autore occorrono mesi per realizzarlo, aspettando paziente la fioritura di ogni bocciolo, con tutto il suo carico simbolico. La precisione botanica ben si fonde con lo sviluppo orizzontale dell’opera, vista come la chiave più esatta e spontanea. La protagonista, benché senza vita, conserva ancora un purpureo rossore sulle gote, e stringe nella mano i fiori raccolti prima di scivolare nel ruscello, mentre l’abito riflette i giochi di luce delle piante e della terra, che sfumano fra le trasparenze dell’acqua. È l’apparente perfezione del quadro a sintetizzare la cultura preraffaellita: l’allegoria del ruscello indica un moto, il flusso sublimato dal “panta rei” di Eraclito, l’anima degli elementi posta in relazione con la metà femminile del cosmo. Nei fiori è invece racchiuso il destino di Ofelia, dove il giglio vale purezza, la margherita innocenza, il papavero sonno eterno, la pansé amore infelice, l’orchidea sensuale raffinatezza, e le ortiche sorda attenzione verso le promesse. Il loro insegnamento, ormai inutile per la giovane, è un monito fine a se stesso: chi è nato per una vita tranquilla è felice solo se vive nascosto.