Se Mitterand avrebbe voluto, nel suo diario socialista, “asciugare gli occhi di chi è stanco di attendere e sperare”, la cultura dell’informazione dovrebbe porre quel battesimo in capo ad ogni sua iniziativa. Perché se a decenni di distanza dal motto transalpino il Presidente della Camera Gianfranco Fini, nella diatriba mediatica sul caso Scajola, ha dovuto spiegare che in una democrazia non c’è mai troppa libertà di stampa, il riferimento alla qualità di quest’ultima è chiaro. È una tematica a noi cara, che raccoglie un appello sulle pagine di pochi, a discapito di molti.
Non c’è colpa né peccato, perché anch’esso è una scelta, e il senso critico del popolo ne fa le spese, arroccandosi sull’una o sull’altra sponda, coltivando la sfiducia e il pregiudizio. È passato il tempo di Giulio De Benedetti, degli scapigliati amministratori di parole e discorsi, attenti più alle vicende del prossimo piuttosto che ai demagoghi e alle grandi firme; una fetta dell’opinione, oggi, ha la museruola. Si riempiono intere colonne per sbugiardare una politica o un’intenzione, per smentire sviste clamorose, affannandosi a convincere chi non ne ha bisogno. Questo stesso editoriale risente di mille difetti, conscio che il realista parte dichiarando le proprie sconfitte nel tempo, e il tempo è il miglior operaio della verità. Da mite manovale dell’informazione resta ancorato ai fatti, piuttosto che a spaziare fra le idee, e la sincerità dei discorsi invita alla confidenza.
Abbiamo un concetto dell’individuo mai raggiunto, in passato: Freud non è stato un caso, Marcuse nemmeno. E l’uomo è responsabile della libertà che le parole garantiscono, quando scrive. Il suo dovere è una ricerca pulita, instancabile: vietato accettare intimidazioni, o imporre alcunché ai lettori.
La luce non fa violenza, e se qualcuno vuole chiudere gli occhi non serve obbligarlo ad alzare le palpebre. Dicesi deontologia delle cose umane, prima ancora che opportunità. Il reportage è la passione che muove da secoli gli storici, e qui dovrebbe inserirsi il reporter, il cronista, proteggendo il cittadino privo di partiti e poteri alle spalle. Perseguire la verità è un dovere. Uno solo possedeva quella pura, ed è finito in croce. Non crediamo sia questa la massima aspirazione degli iscritti all’Albo, ciò non toglie che la prima dote nostra e di costoro debba essere una scrupolosa onestà.