Il Cinema Postmoderno Europeo: una Realtà Possibile

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Dopo un periodo di prosperità economica seguito alla ricostruzione postbellica, verso la fine degli anni Sessanta l’Europa attraversò in un periodo oscuro, le cui cause principali vanno ascritte alle crisi politiche. Il conflitto fra Egitto e Israele (1967-1974), le tensioni della guerra fredda, il dramma del Vietnam, la crisi petrolifera, l’inflazione e la disoccupazione crescente diedero impulso a manifestazioni, scioperi e proteste: terreno fertile per la controcultura giovanile.
Anche l’industria del cinema fu vittima del tracollo, incapace di reggere la spietata concorrenza hollywoodiana. Gli incentivi statali alla cinematografia e le strategie di contenimento del monopolio nordamericano si rivelarono solo parzialmente utili: da una parte aumentarono la produzione europea – senza peraltro riuscire a recuperare in toto il denaro investito, dall’altra favorirono paradossalmente le majors statunitensi. Queste, infatti, possedevano società e succursali nel Vecchio Mondo, che continuarono a distribuire i propri film su larga scala, nonché ad investire nelle produzioni Made in Europe. Spesso, addirittura, si affiancarono alla stessa assistenza statale o parteciparono a coproduzioni, assicurandosi così ulteriori margini di guadagno.

Un aiuto inaspettato venne dalla televisione, capace di sdoganare il pubblico dalle sale, quanto di favorire la confluenza di capitali. Il piccolo schermo, infatti, dovendo trasmettere un dato numero di pellicole, oltre a finanziare il cinema per mano degli enti pubblici proprietari, in alcuni stati incentivò la proliferazione dei canali indipendenti, incoraggiando gli investitori privati. La recessione, insomma, diede risorse e respiro a un’industria in declino, in modo particolare negli anni Ottanta.  

Fu proprio allora che la Comunità Europea fondò MEDIA, un programma di supporto per l’industria audiovisiva continentale, e nel 1988 la European Film Academy. Di fronte all’inesorabile ascesa di Hollywood, che nel decennio successivo avrebbe comunque continuato a ottenere l’80% degli incassi al botteghino, i film europei cominciarono a essere progettati in previsione della vendita dei diritti, e le compagnie continentali poterono investire nel cinema americano.

Allora come oggi non è possibile prescindere da Hollywood, e forse mai lo sarà. Eppure, nonostante le difficoltà incontrate e le frequenti stroncature della critica, è possibile parlare di cinema postmoderno europeo. Si tratta di un magma eterogeneo, un insieme di cinematografie e di progetti di portata diversa, ma che dal secondo dopoguerra si è definito partendo dalle medesime necessità.

I film americani sono realizzati con budget molto più elevati, ma la differenza non è soltanto di matrice economica. Il modello narrativo dell’industria statunitense, ad esempio, è molto strutturato, e si rifà anzitutto ai dogmi della “sceneggiatura di ferro”: all’interno dei classici tre atti, l’eroe è ridotto a mera funzione; egli intraprende un viaggio che muove da una mancanza iniziale e attraversa una serie di prove cadenzate secondo un ordine di progressiva difficoltà. Poco prima della fine giunge al punto di non ritorno: la tensione è massima, che solo all’ultimo istante risolverà con la rimozione del bisogno originario, attraverso l’ottenimento (o meno) dello scopo prefisso.

L’adattamento europeo, al contrario, è meno strutturato, e alla difficoltà narrativo/evolutiva contrappone una tendenza più descrittiva. Di fondamentale importanza è poi il delicato rapporto col realismo, derivato dalla lunga storia del documentario britannico e dalla scuola neorealista. Esso assume il reale come oggetto narrativo e lo declina in storie e problematiche di matrice politico-sociale. Se il cinema europeo si è fatto portatore dell’identità locale con generi piuttosto riconoscibili (commedia all’italiana, gialli o commedie sexy alla francese, Heimat film, Spaghetti western, ecc), viceversa esistono caratteri più facilmente identificabili in una sensibilità continentale, in grado cioè di coniugare l’identità geografica a un messaggio condivisibile oltre i confini nazionali.

La varietà di tratti dei film europei è stata spesso oggetto di critiche, eppure disegna il volto di un’Europa che senza rinunciare alle proprie peculiarità si è unita nel fronteggiare un mercato invadente come quello americano, a difesa del prodotto interno. Ed è proprio questa varietà, in cui non mancano tratti comuni, a costituirne la nuova forza.
foto:uniurb.it