Gli editori a pagamento sono una trappola ben nota per chi ha qualcosa da dire, un messaggio interiore da condividere, e vorrebbe racchiuderlo nella fragrante brossura di un libro. Se uno scrittore alle prime armi è pronto a barattare il denaro con le parole, noterà quant’è facile pubblicare. L’operazione richiederà un certo tempo, trascorso a scegliere nel parterre di svariate case editrici (tutte famose & attente alla qualità, fiduciose sulle virtù degli esordienti), la più adatta. Discriminanti saranno un minore esborso, in ragione di una maggiore pubblicità; ridotta attesa per la messa in stampa e la “commercializzazione”. Così, l’entusiasmo del giovane autore troverà posto fra le clausole di un contratto che prevede propria la foto sul retro del libro, il nome in grassetto ad occupare l’intera copertina, e l’oblio sui contenuti. Poco importa di questi ultimi, persino a livello nazionale. Esempi eclatanti vengono dall’industria cinematografica, che sempre più spesso si ispira a racconti o romanzi scontati, banali, formule facili. Cambiano i personaggi, ma le trame restano simili. Gli autori stessi diventano caricature, si mettono in ridicolo pur di shockare, stupire, far breccia nel torpido commercio di massa.
Meno noti, ma estremamente numerosi, sono poi quei libercoli dai nomi discreti, quasi marginali, a basso prezzo e identica tiratura: un turbinio di voci nuove appoggiate, a far polvere (molta più polvere dei vecchi), su scaffali in cui pochi vanno a sbirciare. Quella miriade di trame silenziose denota una totale mancanza di selezione, di cura verso il prodotto proposto. E l’approccio degli addetti ai lavori ha permesso il lievitare dei sedicenti scrittori, al punto che a volte paiono più numerosi dei lettori stessi. Semplificare e stilizzare l’accesso alla stampa, ridicolizza l’importanza del contenuto. Tra i ragazzi, inoltre, è sempre meno diffusa la moda della lettura. Internet permette accessi rapidi e semplici ad ogni informazione, e a molti giovani basta l’essenziale, per quanto non sia sufficiente a nutrire l’ispirazione. Un autore ha sete di conoscenza; i suoi testi affondano le radici nel substrato del Sapere, e non può produrre nulla di artistico senza contenuti. Capacità e tecnica sono doti innate, ma così come il pittore deve affinare la sua identità coi “fondamentali”, lo studio degli stili e degli strumenti; così come il musicista deve imparare a elaborare le note in libertà, al di fuori dal pentagramma, lo scrittore deve adoperarsi con un duplice compito: acquisire il mestiere per plasmare l’arte, e incanalare le risorse innate con uno scopo, per non scivolare nella mediocrità.
Il territorio dei blog è lo specchio di tutto ciò: nella densità e nella bellezza di certi versi, molti adolescenti non riescono a introdurre confronti, riferimenti, nuove tematiche, imprigionandone il fascino nella ripetizione. Gioie già viste, amori ridetti, consuete paure, spiegazioni, banalità. Certo lo stimolo non viene dalla scuola, spesso incapace di trasmettere il brivido della letteratura, trattata come un “prodotto” meramente didattico, una materia fra le tante. Eppure i libri sono uno squarcio su mondi lontani, una finestra sulla varietà delle emozioni, un cabaret ridonante e meraviglioso. Viverli è entrare in simbiosi col pensiero e con l’esperienza di chi, quelle trame, le ha riportate, fissandole fra gli interspazi bianchi e quelli neri, come pietre angolari di un cruciverba chiamato esistenza.
[Per chi pensa che imparare sia qualcosa assoggettabile solo alla scuola, chiedo di prendere una poesia, una qualunque su cui non si è mai soffermato, e di leggerla ad alta voce, col suo tempo, col tempo che più aggrada, lasciando che le parole scorrano in bocca. Entreranno nei vasi sanguigni, spiegandosi e spiegando noi stessi al mondo, all’interno di mille altri. Perché leggere è fermarsi, ossia dominare il ritmo di una realtà che corre, corre, pazza di sé]
foto : pagineabruzzo.it