Henry Charles Bukowski, il Lato Oscuro delle Stelle

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Detestato, incompreso, eppure stimato fra i più grandi scrittori contemporanei. Heinrich Karl Bukowski, al secolo Henry Charles, o si ama o si odia: impossibile restare indifferenti di fronte al suo stile, alla sua lasca e dissacrante letteratura. Per quanto discussa, ha lasciato un segno indelebile nel panorama USA e non solo. Nato ad Andernach il 16 agosto 1920, da madre tedesca e padre americano, Henry cresce tra Baltimora e Los Angeles, dove i genitori si trasferiscono per ovviare alla crisi economica del primo dopoguerra. Lo scrittore ricorda l’infanzia come dei periodi più infelici. La sua famiglia, d’impronta fortemente conservatrice, non concede spazio ad affetto o tenerezze; fin da piccolo subisce le vessazioni del padre e il silenzio materno, patendo umiliazione e solitudine. Di carattere introverso e scostante, fatica a stringere amicizie, e neppure americanizzando il proprio nome evita pesanti discriminazioni. Durante l’adolescenza, un’acne impietosa gli devasta il viso, e per un intero semestre salta le lezioni per la vergogna. È in questo periodo che inizia a frequentare bar e locali, per lui veri rifugi dal mondo. A tredici anni beve il suo primo bicchiere di vino, dando avvio a una dipendenza che lo accompagnerà per tutta la vita.

 

Dopo il diploma si iscrive al Los Angeles City College: studia giornalismo e letteratura, scoprendo un amore assoluto per la parola scritta, autentica ancora di salvezza. La predisposizione alla scrittura, già emersa durante gli anni scolastici, gli frutta sporadiche pubblicazioni di racconti su riviste underground; di contro, gli innumerevoli rifiuti lo disilludono aspramente. Il padre, poi, ne disapprova lo stile di vita e le aspirazioni, lo reputa un fallito, un buono a nulla, e inasprendo il rapporto lo spinge ad abbandonare la casa natale. Il giovane Charles ritrova la libertà della strada, vagabonda senza meta attraverso gli States, e paga il duro prezzo degli stenti. Vive in stanze da quattro soldi, svolge ogni tipo di lavoro, da cui viene puntualmente licenziato per abuso di alcolici o assenteismo. Legge Hemingway e John Fante, preferisce la compagnia di un gatto a quella umana, trascorre gran parte del giorno nelle sale da corsa, ascolta musica classica e intreccia bizzarre relazioni con donne dei bassifondi, le uniche in grado di comprenderlo. A causa della renitenza alla leva (la Seconda Guerra Mondiale lo lascia indifferente), viene incarcerato per dieci giorni e giudicato inabile al servizio militare. Nel 1955 sopravvive per miracolo a un’ulcera perforante, ma l’incontro ravvicinato con la morte gli restituisce l’impulso alla scrittura. A distanza di dieci anni dall’ultima volta, comincia a comporre poesie.

 

È la stagione dei testi autobiografici, in cui traccia la sua vita con tono irriverente e provocatorio, privo di moralismi. I fogli si riempiono uno dopo l’altro, ricchi di temi scomodi, cinici. Sesso, cavalli, ubriachezza, solitudine, malattia e precari espedienti sono lo scheletro nell’armadio della società americana: un mondo tanti vivido quanto reale, tratteggiato con disincanto e ironia. La poetica dell’autore ha un ritmo parlato e dà voce al dolore, alla rassegnazione, senza mai cadere nella retorica. Tra le riviste che cominciano a interessarsi all’originalità di quella produzione vi è Harlequin, la cui direttrice (Barbara Frye), dopo un’appassionata corrispondenza, chiede a Bukowski di sposarla. Senza mai averla vista prima, se non in fotografia, lui acconsente tramite lettera. E due anni dopo il lieto evento, la coppia divorzia.

 

Le donne occupano un posto importante nella vita e nei testi del “vecchio Hank”, che non riesce proprio a farne a meno. Attrazioni irresistibili, infatuazioni, passioni condivise per la bottiglia, per i rapporti carnali fra litigi e riappacificazioni, delineano una tormentata parabola di relazioni sentimentali, al limite dell’assurdo. Una delle protagoniste privilegiate è la compagna Jane Cooney Barker, morta di cirrosi epatica nel ’62 e rimpianta come il grande amore. Altra musa ispiratrice, per quanto controversa, è Frances Smith, una poetessa hippie che nel 1964 dà alla luce Marina Louise, unica figlia dello scrittore. Intanto, affascinate dallo stile lapidario e impudico di Bukowski, molte riviste pubblicano i suoi lavori, e nel 1967 ottiene la gestione autonoma di una rubrica presso l’Open City di Los Angeles: Notes Of a Dirty Old Man, ossia Taccuino Di Un Vecchio Sporcaccione. Fama e successo gli assicurano un contratto a tempo indeterminato presso l’editore John Martin, nel 1969.

 

Dopo una vita di sofferenze, vede il proprio talento riconosciuto, e per dedicarsi interamente alla scrittura abbandona l’impiego di archivista alle poste di Los Angeles. Il suo primo romanzo (Post Office), ispirato proprio a questa esperienza, lo consacra definitivamente al successo internazionale. Anche le avventure erotiche, minuziosamente descritte in Women e Tales of Ordinary Madness, trovano stabilità grazie a Linda Lee Beighle, first star di Hollywood, conosciuta nel 1976. Entrambi in seconde nozze, resteranno uniti fino alla fine. Nel frattempo, Hank continua imperterrito a bere, a scommettere sui cavalli e a scrivere. Ottiene anche la sceneggiatura del film “Barfly”, ispirato alla sua vita e interpretato da Mickey Rourke. Nonostante fama e ricchezza conduce una vita semplice, mai del tutto serena. La macchina da scrivere non tace neanche la notte, ma la nuova casa di San Pedro (California), non ha vicini lamentosi.

Nel 1988 si ammala di tubercolosi ma non demorde, continuando a scrivere storie. Muore il 9 marzo dello stesso anno, colpito da leucemia fulminante. La sua produzione letteraria conta sei romanzi, migliaia tra racconti e poesie, più Pulp, l’ultimo capolavoro, considerato il suo testamento spirituale. L’invidia, gli scandali, le ire di femministe, critici e mass media non l’hanno scalfito, anzi. La sua opera resta incorrotta anche nel disprezzo, e il suo humour feroce attuale, perché senza fondamenta non vi è alcun cielo a brillare di stelle.