Dopo aver terrorizzato gli USA con l’adattamento radiofonico La Guerra dei Mondi (1938), Orson Welles torna a far parlare di sé debuttando nel cinema. È l’inizio degli anni Quaranta, e il suo esordio è a dir poco magniloquente: il primo film, Citizen Kane (Quarto Potere), si consegna alla Storia. L’opera è tanto straordinaria quanto controversa, un capolavoro ancora attuale. All’epoca, il regista ha solo venticinque anni e tanta inesperienza, ma riesce a ottenere il completo controllo sul lavoro: col beneplacito di George Schaefer, presidente della RKO, è nel contempo sceneggiatore, cast director, attore, regista e montatore, privilegio che gli attira l’invidia di tutta Hollywood. Gira su pellicola in 35mm e presenta il film nel maggio del ’41, dopo circa cinque mesi di riprese.
La sua è un’opera subito indigesta, perché da un lato rappresenta l’American Dream, e dall’altro sbugiarda uno stile di vita ricco ma sterile. Il protagonista è Kane, ragazzino vivace e scontroso, di umili origini, erede di un enorme patrimonio. Cresciuto lontano dalla famiglia e circondato dal lusso, diventa un uomo brillante, sicuro, sfrontato. Illuso di potere ogni cosa. E quella che agli occhi altrui sembra un’enorme fortuna, si rivela pian piano una terribile condanna: Kane ha tutto, ma non è in grado di amare. Il risultato è imponente, e il successo tutt’altro che scontato. Infatti, il magnate dell’editoria W.R.Hearst, alla cui vita si ispira il film, non gradisce e tenta in ogni modo il boicottaggio. Le testate giornalistiche e le frequenze radiofoniche di sua proprietà ignorano l’opera; l’influenza di Hearst è tale da limitarne anche la circolazione e condizionare la giuria degli Oscar: nonostante le nove nomination, solo la sceneggiatura (originale) si aggiudica la statuetta. Eppure, la grandezza di Quarto Potere è innegabile, un vero unicum che segna la fine degli anni d’oro di Hollywood. Invece di votarsi alla cronologia lineare del Cinema Classico, Welles sceglie di comporre una narrazione per frammenti. L’espediente è un cronista interessato a “fare notizia”, che indaga sul significato dell’ultima parola pronunciata da Kane: sono le sue interviste a ricostruirne l’esistenza, alla ricerca di un mistero arduo a risolversi.
Anche dal punto di vista stilistico il film è straordinariamente complesso; di gusto barocco, Welles esalta il piano sequenza portandolo agli estremi, e si serve di effetti speciali che segnano la cinematografia successiva. Inoltre, la profondità di campo è una novità assoluta per l’epoca: il regista colloca alcuni oggetti davanti alla cinepresa, altri più distanti, oppure gira separatamente alcune sequenze per poi combinarle con stampante ottica. L’effetto ottenuto è che, in un’unica inquadratura, quel che accade sullo sfondo e in primo piano è contemporaneamente a fuoco, e disorienta lo spettatore. E ancora ellissi temporali, scenografie imponenti, illuminazione dall’eco espressionista, magistrale uso di grandangolo e obiettivi. Il virtuosismo tecnico è anticonvenzionale, evidenziato da rapidi stacchi della cinepresa e da una colonna sonora inquietante, opera di Bernard Hermann.
Non più onnisciente, il narratore è scisso in molteplici punti di vista, suggerendo verità in modo discontinuo e ricercando la complicità dello spettatore. Solo il regista, “autore” a 360°, e il pubblico, sono in grado di penetrare il segreto di Kane, nascosto nella semplicità dell’infanzia. Se all’epoca della sua uscita nelle sale, Citizen Kane non ebbe vita facile, la critica di oggi vi riconosce il genio: l’American Film Institute l’ha eletto miglior film di sempre, e il National Film Registry si è prodigato per la sua conservazione, mostrando come il capolavoro di Welles sia ancora oggi in grado di sorprendere.
Titolo originale: Citizen Kane
Paese e anno di produzione: Stati Uniti, 1941
Durata: 119 min.
Genere: drammatico