Nonostante il massiccio silenzio mediatico, la notizia è ufficiale: la Corte Costituzionale ha bocciato la legge 102 del 3 agosto 2009 (conversione del DL 78), che attribuiva all’Esecutivo la piena facoltà decisionale in campo energetico. Nella suddetta, surclassati comuni ed enti, alle Regioni era consentita solo la competenza congiunta sulla sede delle centrali nucleari. Finora, né la volontà popolare (già manifestata col referendum del 1987), né la mobilitazione di cittadini, politici e ambientalisti era bastata a fermare i progetti dell’ex Ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola, e del Premier Silvio Berlusconi. Il ritorno all’atomo, per l’Italia, sembrava segnato. La Gazzetta Ufficiale, invece, non lascia margine ai dubbi: l’agenda del Governo dovrà essere modificata, e lo stop è imposto dalla sentenza numero 215 del 9 giugno 2010.
Il decreto legge in questione, tra l’altro, prevedeva nel “pacchetto anticrisi” la costruzione di impianti nucleari; i lavori dovevano essere affidata a capitali "prevalentemente o interamente privati", e avviati con procedure d’urgenza. Per trovare attuazione, dovevano essere preposti direttamente dal Governo dei commissari con poteri totali, scavalcando gli enti interessati. E nel giro di 10-15 anni l’energia nucleare sarebbe stata operativa. La Corte Costituzionale ha però cassato il decreto dal comma 1 al 4. Anzitutto, le “ragioni d’urgenza” collidono con la volontà di attribuire i costi di produzione a privati. Infatti, come stabilisce la suprema corte di giustizia italiana, "trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione diretta da parte dello Stato”. Inoltre, "se le presunte ragioni dell’urgenza non sono tali da rendere certo che sia lo stesso Stato, per esigenze di esercizio unitario, a doversi occupare dell’esecuzione immediata delle opere, non c’è motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi". La delibera finale conclude stabilendo che "i canoni di pertinenza e proporzionalità richiesti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di riconoscere la legittimità di previsioni legislative che attraggano in capo allo Stato funzioni di competenza delle Regioni, non sono stati quindi rispettati".