Roma Città Aperta [La Voce della Tragedia]

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Il primo film della trilogia rosselliniana è un capolavoro assoluto del neorealismo, a cui seguono Paisà (1946), e Germania anno zero (1948). Girato quando ancora impazza la Seconda Guerra Mondiale e la Capitale è stata appena abbandonata dai nazisti, il film mostra la sua straordinarietà sin dalla genesi. La realizzazione comincia il 17 gennaio 1945 ed è ostacolata dalla mancanza di mezzi, denaro, pellicola, persino di strumenti tecnici per le riprese. Anche la location è problematica. Gli studi di Cinecittà sono inagibili, adattati a ricovero per migliaia di sfollati, perciò il regista riprende in esterno o si serve di set improvvisati in teatro. I quartieri squallidi della Roma popolare si alternano a locali claustrofobici, angusti. I monumenti della caput mundi non trovano spazio, perché l’ambiente è al contempo sfondo di un’esistenza travagliata e culla di una nuova ricerca di senso.

La trama è lineare ma densa di significato, esaltata da una colonna sonora d’impatto. Il tipografo antifascista Francesco, promesso sposo alla ragazza madre Pina (Anna Magnani), accetta di dare asilo all’ingegner Manfredi, un militante comunista ricercato dai tedeschi. Il suo è un atto azzardato, rischioso e pieno di coraggio, perché gli Alleati stanno risalendo l’Italia ma non hanno ancora liberato Roma. Qui la resistenza è in fermento. La mobilitazione passa attraverso azioni silenziose e discrete, come quelle del sacerdote Don Pietro (Aldo Fabrizi); ma anche i bambini non sono passivi agli orrori del conflitto; con ingenuità e un po’ di sconsideratezza, si danno da fare. Anche all’insaputa degli adulti. Come spesso accade, il genio di un’opera si coglie meglio a posteriori, ne è prova la freddezza con cui il film viene accolto. Uscito nel settembre del 1945, lascia perplessi i comunisti – cui pare esalti eccessivamente l’attesa degli americani. Ma anche i cattolici hanno riserve: contrari alla crudezza di alcune scene, sono scettici per la posizione paritaria concessa a fedeli e laici. Fortunatamente, un anno dopo, la critica riconosce i giusti meriti della pellicola. Al primo Festival di Cannes (1946) ottiene la Palma d’oro. Lo stesso anno vince tre nastri d’argento: miglior film, migliore regia, migliore attrice non protagonista (Anna Magnani). Anche Hollywood non si dimostra indifferente, e la sceneggiatura (originale) ottiene una nomination agli Oscar.

L’opera del regista è corale; da singola, la vicenda si fa emblema del dramma storico. E umano. Tutti hanno voce: la complicità, il silenzio solidale, la parlata colorita della gente umile, il desiderio di salvezza per alcuni e quello di vendetta per altri. L’orrore nazionale accomuna fascisti, partigiani e popolani. Emblematica in tal senso è la celebre scena dell’uccisione di Pina, in corsa dietro al camion che la allontana per sempre dall’amore. Rossellini condanna la spietata crudeltà nazista, ma non esprime un giudizio partitico particolare. Il suo è un quadro reale e al contempo simbolico della tragedia, rappresentata senza retorica.