Intervista al Dott. Paolo Malacarne, primario del reparto U.O Anestesia e rianimazione Ospedale Cisanello Pisa.

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Intervista al  Dott. Paolo Malacarne, primario del reparto U.O Anestesia e rianimazione Ospedale Cisanello Pisa.

(Tra modello aperto e medicina narrativa.)

(intervista al primario del reparto di rianimazione di pisa Dr. Paolo Malacarne)


Di Filippo Baglini e Cinzia Cerbino ( giornalisti del magazine italoeuropeo di Londra)

 

Come ha iniziato questo particolare lavoro e perché? 

Ho iniziato perché mi appassionava lo stato di coma proprio durante il periodo di studi universitari. Capire il funzionamento del cervello, capire perché una persona andava in coma e vedere come era possibile risolvere questo stato. Alla scelta della specializzazione ho preso anestesia perché l’anestesia é uno stato di come indotto farmacologicamente, e l’anestesista poi gestisce tutte le funzioni vitali del malato.  La rianimazione  si avvicina molto, é il tentativo di mantenere in vita pazienti che sono andati in coma per traumi e vedere di tirarli fuori dal coma gestendo noi le funzioni vitali del malato. Ed é questa passione di salvare la vita  che mi ha portato a fare questo mestiere.

 

La storia di questo reparto di rianimazione, come nasce?

 

La rianimazione nell’ospedale di Pisa é nata agli inizi degli anni 70.  È stata una delle prime rianimazioni in Italia, ha avuto una sua storia con aspetti positivi all’inizio e un periodo di stasi, e poi una ripresa di buona rianimazione intorno al 1990. I due cambiamenti più importanti  sono stati quelli di valutare in maniera più oggettiva possibile la qualità della assistenza erogata e nel 2000 l’appropriatezza dell’assistenza che noi eroghiamo cioè se un determinato macchinario veniva usato bene o no. Ci siamo chiesti se le cose che facevamo le eseguivamo bene. Prima  c’era un confronto con altri reparti di rianimazione ed era giusto farsi delle domande: se un malato ricoverato gli stavamo dando la giusta assistenza. Domande importanti che alla fine ci hanno portato anche all’aspetto della rianimazione aperta e al rapporto con i familiari. La terapia intensiva aperta è nata molto tardi rispetto ad altri paesi, in Italia intorno al 1997. Poi da Santa Chiara siamo venuti in questa nuova struttura di Cisanello dove abbiamo potuto applicare le teorie e fare una rianimazione aperta e soprattuto sostenere i familiari.

 

Come si lavora in rianimazione, quanti siete, come siete organizzati?

 

Il nostro reparto di rianimazione è organizatto in modo tale che al malato costantemente gli venga fornita un’ assistenza ventiquattrore su ventiquattro. Ci sono 12 posti letto  e siamo organizati così: ci sono cinque medici,con me sei, che ciclicamente per una settimana sono i responsabili del reparto  e sono quelli che garantiscono la continuità assistenziale ossia sanno tutto dei pazienti, cos’ è successo ieri, cos’è accaduto oggi e cosa si può fare in prospettiva del futuro per il malato. I nostri malati stanno qui molto tempo e non è possibile farli curare una volta da un medico e una volta da un altro. Il reparto è particolare e quindi anche la continuità deve essere particolare e lo è.  Comunque noi sei, a turno siamo sempre qui giorno e notte, perchè spesso ci vengono a chiamare per urgenze dal pronto soccorso e in altri reparti. Poi ci sono  gli infermieri che sono conque con i loro turni che gestiscono da dieci a dodici malati ed il loro lavoro è indispensabile per il corretto funzionamento del nostro reparto, sono loro che si occupano del malato per un tempo maggiore, lavandolo, curandolo e prestandogli assistenza continua.

 

Parliamo di statistiche, quanti ricoveri all’anno ci sono in questo reparto e quanti casi di morte.


Questa parte delle statistiche è un aspetto molto importante che rientra nella qualità del servizio e nel funzionamento corretto di un sistema. Sostanzialmente noi usiamo un software, dal nome Margherita che e’ stato fatto dall’istituto Negri di Milano, il centro di ricerca farmacologiche conosciuto in tutto il mondo, al suo interno c’è un laboratorio di fisiologia clinica che coordina la rete di terapie intensive in Italia. Lei consideri che in Italia ci sono 500 reparti di rianimazione e terapia intensiva come questo, 250 reparti aderiscono a questa rete, e in questi reparti vengono compilati per ogni paziente una serie di dati informatici, che partono dal ricovero seguendo tutta la sua storia clinica fino alle dimissioni, se queste sono possibili. Il nostro reparto aderisce a questa rete e così alla fine dell’anno possiamo avere un confronto con altri reparti ed avere anche una statistica su quanti pazienti gravi si sono salvati oppure no, e questo e’importantissimo per vedere la qualità del servizio. La mortalità attesa è calcolata sulla base di equazioni calcolate prendendo come rianimazione media,  la media di queste 250 reparti.  I dati relativi a questo reparto rientrano o nella media dei dati nazionali o leggermente meglio della media nazionale, questo vuol dire che abbiamo una mortalità osservata che e’ o uguale a quella attesa o migliore di quella attesa. In termini di % posso dire che in questo reparto muoiono circa il 30% dei malati che entrano, ma attenzione tutto va rapportato alla gravità del malato.  Quando eravamo all’ospedale di Santa chiara avevamo 10 letti e circa 300 ricoveri l’anno, ora abbiao 12 letti e 300 ricoveri li abbiamo già fatti in meno di un anno, io penso che si possa arrivare a 450 ricoveri l’anno. Il 40 % dei ricoverati che entrano da noi anno tutti un trauma dovuto ad incidente stradale. Abbiamo un 60% di pazienti che hanno avuto un’operazione all’ingresso con conseguenza di traumi, e poi abbiamo un 40% circa che vengono qui non hanno avuto nessuna operazione o incidente, e vengono detti malati medici. C’è un altro dato importante: alcuni pazienti lasciano il nostro reparto vivi e poi muoiono per infezioni in altre strutture e questo si aggira intorno al 35-38%.

 

Vi sono state testimonianze dal risveglio?

 

Si, questo è un aspetto molto interessante. Io mi ricordo di diverse testimonianze di risveglio dal coma sia quello farmacologico, sia quello indotto dal trauma, che ci hanno raccontato la loro esperienza. La testimonianza secondo me più chiara da un risveglio dal coma farmacologico è quella che ha scritto Adriano Sofri su Repubblica, un racconto chiaro delle stranezze e  danni che possiamo fare con i farmaci che somministriamo.

Per quello che riguarda i pazienti in coma da traumi, nei racconti ci sono delle testimonianze abbastanza classiche. Intanto nessuno mi ha mai riferito del tunnel di luce che spesso si sente in giro, ma tutti i malati concordano di vivere situazioni completamente diverse dal proprio vissuto reale, cioè si trovavano in una vita con stili di vita completamente diverse da quella che avevano fatto però con persone reali, familiari, e non, per esempio trovarsi a vivere durante la scoperta dell’America, trovarsi a vivere nelle caverne o nello spazio. Unaltro aspetto  molto comune sono le sensazioni spiacevoli e le paure, questo nella fase di risveglio, per esempio la sete e la paura, paura che quando qualcuno si avvicina possa succedere qualcosa, paura che qualcosa possa accadere e che non viene spiegata. Perchè noi pensiamo che non capiscano  ma spesso i malati in coma possano avvertire sensazioni a noi sconosciute.

 

Questo e’ un reparto che molto spesso si possono creare situazioni di accanimento terapeutico o di eutanasia, cosa ne pensa, e come si fa a comunicare e condividere coi familiari una decisione così dolorosa?

 

Dunque, in teoria, un paziente quando entra in ospedale, dovrebbe in qualche modo concordare con i medici il trattamento, quello che si chiama testamento biologico. Questa cosa sui nostri malati non è possibile perché arrivano spesso in coma e quindi incapaci di intendere e di volere. Di fatto il malato é il grande assente in queste situazioni, e allora siamo noi con i familiari a dover decidere il da farsi. In teoria noi dovremmo basarci su quello che ci  dicono i familiari, oppure se c’é una documentazione prendere delle decisioni. Decidere se andare avanti nelle cure o no.

 Quella che lei ha chiamato Eutanasia, io preferisco chiamarla la desistenza, perché io penso che l’eutanasia è un intervento attivo per troncare una vita che altrimenti andrebbe avanti, la desistenza è invece  sospendere una serie di cure anche vitali specie  nella situazione in cui non c’e un ragionevole recupero, cioe’ il processo del morire è avviato e noi possiamo solo ritardarlo con le nostre cure, desistere vuol dire appunto non ritardare artificialmente un processo che purtroppo comunque è avviato, oppure desistere perchè andare avanti si fanno cose che il paziente non vuole.

 

Il problema nostro è che queste cose le dobbiamo decidere in assenza del paziente e del suo consenso.  L’accanimento c’è quando noi ci accorgiamo che dopo la morte, potevano smettere prima i farmici perché non c’era nessuna possibilità. In questo reparto di Pisa non c’è un medico che decide per tutti, qui ci sono malati con i loro familiari e infermieri, anche se il malato è il grande assente non può essere uno solo la mano che stacca tutto.

 Questo lascerebbe dei dubbi nei medici, infermieri, e familiari che potrebbero creare scompensi psicologici irreversibili. Credo che sia molto meglio rischiare quei due , tre giorni di accanimento terapeutico nei quali tutti siano convinti che non ci sia nulla da fare piuttosto che interrompere subito anche una minima speranza.

 

Noi in questo reparto abbiamo molta sensibilità e attenzione non solo per i malati, ma per tutte le persone che gli stanno intorno, da noi medici agli infermieri ai familiari. Per comunicarlo ai familiari, è sempre difficile, ma la nostra rianimazione è aperta e questo vuol dire che i familiari vivono con noi la sofferenza, parliamo molto con loro e le decisioni di questo tipo vengono sempre prese insieme e senza paure, ci stringiamo insieme su questi temi molto importanti che fanno parte della nostra vita.

 

(18 maggio, la Legge Calabrò in parlamento) il dibattito sul testamento biologico desta inevitabilmente controversie di carattere morale, politico, religioso nonché strettamente scientifico. Lei  cosa ne pensa?

 

Io ho avuto la fortuna di partecipare tre anni fa, ad un’ audizione in Senato sul testamento biologico. La rete delle terapie intensive di cui parlavo prima, cinque anni fa ha fatto uno studio sulla morte in rianimazione: su 3800 malati, tenendo presente tutti i parametri delle cure, e degli aspetti dei familiari, il 60 % dei malati muore con una decisione presa da parte dei medici o di non iniziare una cura o di sospendere una cura. Questa ricerca fu molto importante, i dati sono stati portati al Senato per decidere il testamento Biologico. Io mi sono fatto un’ idea, credo che noi  in Italia, ci dobbiamo comportare come la maggioranza dei paesi occidentali cioe’ il paziente deve avere il diritto di stabilire con un consenso informato su cio’ che vuole che gli sia fatto e su cosa non vuole che gli venga fatto. Questo può avvenire solo quando il paziente è capace di intendere e di volere, non si può fare altrimenti. Quindi io sono favorevole al testamento biologico. Sono invece contrario alle limitazioni presenti nella legge cioè dire che il malato può rifiutare tutto tranne alcune cose, secondo me non ha molto senso questo. Tutto questo processo deve essere supportato però da una giusta informativa verso il paziente che deve essere informato su tutti gli aspetti del caso. La legge poi ha altri aspetti, ma quello che mi stupisce maggiormente riguarda quello   di non far decidere tutto al malato fino in fondo con un testamento ma porre delle limitazioni.

Cosa ne pensa di un reparto di riabilitazine in questo ospedale dando così un seguito ai pazienti?

 

A Cisanello ci sono due soli posti letto di riabilitazione, troppo pochi come può immaginare. I letti per la riabilitazione costano molto. La politica del centro regionale della Toscana è stata quella, giustamente, di creare centri grossi di riabilitazione dove si potessero ospitare molti pazienti ed essere trattati da personale professionale, purtroppo questi centri di riabilitazione sono stati concentrati  fuori Pisa, in Versilia e a Volterra. A Pisa non ci sarà mai un centro di riabilitazione, perché ormai la politica regionale ha già deciso dove mettere questi centri che sono veramente straordinari. Il problema invece sta nel passaggio di un paziente dalla rianimazione alla riabilitazione. Il problema che bisogna cercare di risolvere è nei rapporti tra noi e loro. Non basta mandare un fax e dire ti mando un paziente, ma bisogna raccontare a loro anche la storia del paziente, instaurare un ponte tra noi e loro che non sia solo una telefonata e poi perdere di vista il paziente tenuto da noi per esempio un mese e mezzo. C’è ora in atto al livello dell’assessorato regionale e della agenzia regione di sanita toscan, un gruppo di lavoro fatto di rianimatori e riabilitatore che cercano di trovare un modello migliore e non perdere le informazioni. Naturalmente io penso che l’ideale sarebbe che un centro di riabilitazione ci fosse a Pisa, ma so anche che questo e’ impossibile per mancaza di soldi.

Per migliorare il rapporto con i familiari puo essere utile la “medicina narrativa”?

 

Si penso proprio di si. Sarà il nostro successivo passo. Lo stanno già facendo a Firenze e Torino. E noi la faremo presto. Noi bisognerà richiamare il paziente e i familiari e farli ritornare per capire e far capire cosa è stato quel periodo in rianimazione.  Le persone che entrano in coma hanno un buco del loro passato e di quello che hanno vissuto in quel letto. E la medicina narrativa seve per sottolineare la vita anche in stato di coma. Questo racconto scritto serve a noi medici per capire chi era il paziente prima che venisse da noi, e per i familiare per non staccarsi dal loro caro. La medicina narrativa sicuramente è importante e sarà uno dei passi successivi che questo reparto andrà a realizzare.

 

Rapporti con l’estero: Qui a Pisa organizzate  scambi di esperienze con ospedali esteri.

Noi abbiamo la fortuna di avere con noi la dottoressa Marzia Corin che va a fare le missioni all’estero, con Emergency, con Medici senza frontiera e Crocerossa Internazionale e porta la sua esperienza all’estero e apprende altrettanta esperienza. Ma noi qui non ne facciamo scambi con l’estero, perchè non siamo un reparto di ricerca clinica, per avere scambi con l’estero bisognerebbe che il reparto partecipasse a ricerche internazionali e per ora questo non lo facciamo ancora. Questo ospedale universitario dovrebbe fare queste cose come formazione, si potrebbe fare , ma per ora non vedo la volontà e la possibilità. Mi spiace molto perché si potrebbe imparare molto, ma non nella capacità di aquisizione del singolo, perchè io non credo che all’estero il singolo medico preso da solo sia più bravo di me a mettere una catetere, io penso sia invece importante imparare da loro l’organizzazione e la gestione. All’estero no , ma in Italia si, spesso io e  i miei colleghi andiamo in altri reparti italiani a portare e acquisire esperienza.

 

Un ringraziamento speciale al primario P. Malacarne e a tutto il reparto di rianimazione dell’Ospedale di cisanello di pisa

Filippo Baglini – Cinzia Cerbinodel magazine italoeuropeo di Londra