Terza parte La vita dietro quella porta blu

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Un autore scrive nel suo libro, che in rianimazione -la vita è lunga quanto il tubo che ti connette ad un respiratore-, ed è proprio così,  questa è la verità, qui  sta tutta l’essenza in tutta la sua crudeltà. E davanti a quell’uomo mi chiedo che vita e’ quella.

 Molte volte mi ero fatto questa domanda quando leggevo articoli dei miei colleghi che parlavano di malati terminali, non ho mai trovato una vera risposta perché non avevo mai visto con i miei occhi. Ora sono lì, davanti a quell’uomo, lo guardo,  avverto tutta l’angoscia di quel malato grave, la leggo sul monitor  e la vedo nei respiri lenti e sul volto di sua moglie.

Qui penso alla vita e al suo senso, mi viene naturale questo filosofico pensiero, perché non so se davanti a me ho una vita o un’altra cosa, e se un’altra cosa, che cosa? Cosa si intende per vita? Un respiro soltanto, o la capacità di comunicare, parlare, ridere.  Se si parla di respiri  quelli ci sono sempre, cambiano le componenti, che in un caso sono molte nell’altro sono poche, quasi nulle.  E allora? E’ vita stare attaccati ad un respiratore con la dignità pur curata, ma ridotta al minimo?

Qui non siamo in situazione di accanimento terapeutico o di casi di eutanasia estremi, eppure anche quei corpi fanno rabbia, tristezza, c’e la voglia di gridare – basta, facciamola la finita- la nostra impotenza li davanti, ci farebbe staccare la spina, perche’ anche nella speranza in questi casi c’e sempre l’amarezza dell’abbandono e il non desiderio di vedere in quello stato un familiare. E allora?

  Mi sono risposto con un’altra domanda, se i medici lottano per dare anche quella minima dignità, con tutta la determinazione e passione , se non avesse senso, cosa lo farebbero a fare? Mi sono convinto che anche in quella infernale situazione  la vita sembra essere più forte della morte, quei fili e tubi trattengono con forza la vita come un cane trattiene il suo osso tra i denti.

Immagine_038 Il cuore batte, i polmoni reggono, anche se il cervello non è presente, ma nessuno sa realmente se qualcosa passa di là dal muro, nessuno sa se in quel forzato dormire cosa si percepisce e come si percepisce.  Il dubbio logora la ragione, e la ragione vorrebbe soffocare la speranza in questi casi, vorresti lasciare quel corpo andare alla deriva, ma non lo si fa, almeno in questo caso, si lotta, si cerca di fare del pensiero della morte una speranza di vita.

Sono pochi quelli che tornano con le proprie gambe a ritrovare gli angeli blu del reparto, ma quei pochi sicuramente non avrebbero potuto ritornare se erano lasciati andare alla deriva. Le situazione critiche, le diagnosi di persone che rimangono in stato vegetativo o su una sedia a rotelle dopo aver passato la rianimazione, sono i casi più frequenti e terribili che farebbero pensare che sia giusto staccare tutto prima, perché un corpo perso in un letto non è vita, ma quello che ho capito in questo reparto, sarà il clima speciale  che trabocca dal gruppo e dal suo coordinatore, e’ il senso della vita anche sul punto  di morte. 

Sono stato una giornata intera dentro una rianimazione, più vicino alla morte di quanto fossi mai stato prima, ho visto anche morire, e nonostante tutto ho confermato che la vita va vissuta fino in fondo anche attaccato ad un respiratore perché la vita è degna anche in quel momento, finche il tamburo battente suona la sua musica, bisogna lottare.

E per quanto riguarda la morte, bé, potrebbe sembrare uno spreco, ma come diceva la Fallaci, anche senza quello spreco di morte non ci sarebbe la vita.