18 ottobre Lussemburgo. La Corte di Giustizia europea pone fine ad una diatriba sorte nelle aule tribunali tedesche ma che in realtà ha sempre animato le coscienze di ogni credo e sfera sociale non di meno la Chiesa Cattolica.
19 dicembre 1977, il ricercatore tedesco Oliver Brustle deposita un brevetto relativo a cellule progenitrici neurali e depurate, ricavate da cellule staminali embrionali umane cosiddette blastocisti ossia a 5 giorni dalla fecondazione, utilizzate per curare le malattie neurologiche. Secondo le dichiarazioni dello stesso professore, i risultati del brevetto erano visibili già nelle applicazioni per la cura dei pazienti affetti dal morbo di Parkinson.
Anno 2004, Greenpeace presenta al Tribunale federale tedesco (Bundespatentgericht ) la domanda di annullamento del brevetto poiché ritiene che la brevettabilità degli embrioni umani comporti un rischio di clonazione e faciliti il sorgere di un mercato. Il tribunale accetta la domanda e dichiara la nullità del brevetto.
Il professor Brustle allora, fa ricorso alla Corte di Cassazione tedesca (Bundesgerichtshof) la quale decide di interpellare la Corte di Giustizia Europea in merito all’interpretazione della nozione di «embrione umano», non definita dalla direttiva 98/44/CE.
La questione ruota intorno agli stadi di vita degli embrioni e all’analisi concettuale della nozione di embrione umano. Analisi che deve fornire, come sottolinea la stessa corte, una risposta puramente giuridica e non deve essere di natura medica o etica. Si tratta di sapere se l’esclusione della brevettabilità dell’embrione umano lo riguarda fin dalla fecondazione dell’ovulo o solo da un determinato stadio di sviluppo in poi. Il verdetto della Corte dichiara che la nozione di «embrione umano» deve essere intesa in senso ampio pertanto, qualsiasi ovulo viene considerato embrione umano sin dalla fase della sua fecondazione .
Ed aggiunge: “ Deve essere riconosciuta questa qualificazione di «embrione umano» anche all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e all’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi”. Da questa sentenza che spingerà i ricercatori in paesi più tolleranti quali USA, Brasile e India, si apprende che un’invenzione non può essere brevettata qualora comporti la distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza. Tuttavia la brevettabilità delle utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali non è vietata, in forza della direttiva solo nel caso che riguardi l’utilizzazione a fini terapeutici o diagnostici che si applicano e che sono utili all’embrione umano stesso – ad esempio per correggere una malformazione e migliorare le sue prospettive di vita.