L’indice di miseria (in inglese misery index) è impiegato in economia per misurare lo stato di salute di una nazione. Si tratta di un indicatore calcolato sommando il tasso di disoccupazione al tasso d’inflazione. Più alto è il valore risultante, maggiori sono le probabilità che un Paese stia attraversando difficoltà economiche. Non deve quindi sorprendere che una serie di indicatori economici – tra cui la fiducia dei consumatori e la propensione al risparmio – abbia messo in risalto la reale entità di una crisi che, giorno dopo giorno, grava sempre più sulle finanze pubbliche e private del Bel Paese. L’autore di questa ricerca si prefissa come obiettivo quello di applicare alla realtà italiana un concetto economico ideato dall’economista statunitense Arthur Okun negli anni ’70. L’analisi che ne segue prende in considerazione gli anni successivi all’entrata in vigore della moneta unica, l’euro. Il seguente grafico (Figura 1) – che si basa sui dati pubblicati dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) – riporta l’andamento annuale dell’indice di miseria in Italia nel periodo compreso tra il 2002 e il 2011.
Figura 1 – Indice di miseria
La stagnazione economica del Bel Paese e il progressivo innalzamento dei tassi di disoccupazione e d’inflazione stanno spingendo al rialzo l’indice di miseria. Questo parametro, dopo aver registrato una progressiva flessione tra il 2002 e il 2007, nel corso dell’ultimo biennio è tornato a crescere varcando la soglia dell’11% nel terzo trimestre del 2011 (11.7% secondo le ultime rilevazioni). Qualora l’outlook negativo sulle prospettive economiche del Bel Paese fosse confermato nell’arco dei prossimi mesi, l’indice di miseria potrebbe toccare quota 15% nel breve periodo. L’aumento dell’aliquota Iva ordinaria dal 20 al 21 per cento indubbiamente contribuirà all’innalzamento del tasso d’inflazione oltre l’attuale 3.4%, un livello superiore rispetto alle precedenti stime di Banca d’Italia per il 2011 (2,5-2,7%). Inoltre, le misure correttive recentemente annunciate dal Governo in materia di liberalizzazione del mercato del lavoro (leggasi una maggior flessibilità dell’occupazione “in uscita” oltre che “in entrata”) potrebbero determinare un ulteriore innalzamento del tasso di disoccupazione.
Secondo l’Istat, infatti, se tali provvedimenti fossero stati attuati all’inizio della crisi originata nel 2007, il tasso di disoccupazione odierno si attesterebbe all’11,1%, anziché essere all’8,3% attuale. Non è pertanto inimmaginabile presupporre che la disoccupazione possa crescere nel breve periodo e, quindi, ulteriormente penalizzare un settore – quello secondario – già alle strette con problemi di domanda e liquidità. Al fine di quantificare il malessere di una nazione e quindi valutare il reale stato di salute dell’economia, si potrebbe correlare l’indice di miseria all’andamento storico della fiducia dei consumatori. Come mostrato nel seguente grafico (Figura 2), l’andamento dell’indice di miseria è inversamente proporzionale rispetto al tasso di fiducia dei consumatori: quando uno cresce, l’altro decresce. Per rendere i due indici omogenei e comparabili, il tasso di miseria è stato indicizzato in centinaia.
Figura 2 – Indice di miseria e fiducia dei consumatori a confronto
È interessante notare l’altalenante andamento dei due indici nel corso dell’ultima decade. Nel biennio che ha preceduto il credit crunch (2006 e 2007) il Pil italiano ha registrato una moderata crescita spingendo al ribasso l’indice di miseria e mantenendo la fiducia dei consumatori saldamente sopra quota 100 punti. Tuttavia, l’arrivo della crisi economica nel secondo semestre del 2007 ha determinato un rovesciamento dei valori. Di conseguenza, i due parametri dapprima si intersecano e invertono le rispettive posizioni nel 2008, salvo poi sostanzialmente ristabilire i valori del 2006 nella prima metà del 2010, quando si era diffusa la convinzione di essere ormai prossimi all’uscita dal tunnel della stagnazione.
L’aggravarsi della crisi dei debiti sovrani e i rinnovati timori su una nuova crisi economica hanno ulteriormente depresso gli indici di miseria e di fiducia. Nel breve periodo il trend negativo potrebbe portare l’indice di miseria a registrare il massimo livello degli ultimi dieci anni e, al tempo stesso, la fiducia dei consumatori potrebbe continuare la propria corsa al ribasso. Nel mese di settembre, infatti, l’indice di fiducia è sceso sotto quota 93 punti, il valore minimo registrato nell’ultimo decennio. Se è vero che l’indice di miseria e la fiducia dei consumatori tendono a mantenere un andamento inversamente proporzionale (l’uno cresce quando l’altro decresce), vi è tuttavia una moderata correlazione tra la riduzione della fiducia dei consumatori e una minore propensione al risparmio. Il seguente grafico (Figura 3) mette a confronto l’andamento dei tre indici – indice di miseria, fiducia dei consumatori e propensione al risparmio – nell’arco dell’ultimo decennio.
Figura 3 – Andamento storico indicizzato del Misery Index, fiducia dei consumatori e propensione al risparmio
Il trend ribassista della propensione al risparmio è molto più accentuato rispetto all’indice che quantifica la fiducia dei consumatori. Questo scostamento è dovuto al fatto che la progressiva perdita del potere d’acquisto ha molto probabilmente eroso la capacità dei consumatori di accantonare beni e ricchezze. Un’inversione di tendenza arriverà solo quando i dati economici si ristabiliranno sui valori del 2006.
Dizionario tecnico:
Misery Index: L’indice di miseria (in inglese misery index) è un indice economico, creato dall’economista Arthur Okun, basato sulla somma del tasso d’inflazione e del tasso di disoccupazione. È spesso erroneamente attribuito a Robert Barro, il quale, invece, creò un proprio indice simile a questo, con l’aggiunta di due ulteriori dati: il PIL ed il tasso ufficiale di sconto.
Disoccupazione: La nozione è riferita a tutte le persone in cerca di occupazione, rientrano tutti quelli che: si dichiarano in cerca di lavoro; sono immediatamente disponibili a lavorare; hanno svolto concrete azioni di ricerca del lavoro nei 30 giorni precedenti la rilevazione.
Inflazione: Termine derivante dal latino inflatio – inflationis, dal verbo gonfiare, significa gonfiore. In economia indica un aumento generalizzato e continuato nel tempo dei prezzi, che viene misurato su base mensile e annuale attraverso un tasso espresso in termini percentuali che esprime il ritmo di questo aumento.Il tasso d’inflazione è un indicatore della variazione relativa (nel tempo) del livello generale dei prezzi e indica la variazione del potere d’acquisto della moneta.
Propensione al risparmio: A differenza della propensione marginale al consumo (v. Propensione al consumo), quella al risparmio è crescente in quanto se il reddito disponibile è maggiore gli individui, soddisfatti i loro bisogni necessari, tenderanno a tesoreggiare una quota più elevata del loro reddito.
Fiducia dei consumatori: Indice della fiducia dei consumatori (1985=100) costruito sulla base di un’indagine svolta su un campione rappresentativo, costituito da 5.000 famiglie. Oltre all’indice sintetico, quello che riceve la maggiore attenzione, vengono pubblicati un indice della valutazione della situazione economica attuale, e un indice di valutazione della situazione economica futura. L’orizzonte temporale preso in considerazione al momento della rilevazione delle aspettative sono i sei mesi successivi.
Fonti: ANSA, Confcommercio, ISAE, Istat e The Economist. http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2011/10/29/visualizza_new.html_646561423.html http://www.corriere.it/economia/11_ottobre_31/istat-sale-disoccupazione-giovanile_d5a5bfdc-03a2-11e1-af48-d19489409c54.shtml
Fonte immagine: ilsole24ore.com
Grafici di Stefano Fugazzi