Grecia, il piano d’austerity non funziona

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Il perdurare della crisi economica sta vanificando ogni tentativo di risanamento delle finanze pubbliche dei Paesi di Eurolandia a rischio default. Con il passare delle settimane il contagio economico sta rischiando di gettare in un tunnel senza via d’uscita non solo il travagliato Paese ellenico, ma anche tutte le principali economie della zona euro. In un tale contesto economico non deve quindi sorprendere che le entrate nelle casse dell’erario pubblico delle nazioni maggiormente colpite dalla crisi siano inferiori alle attese. La contrazione del Pil – o più semplicemente la stagnazione economica – ha spinto sia le aziende sia i piccoli risparmiatori a stringere la cinghia riducendo così i consumi e gli investimenti. A deprimere ulteriormente i conti pubblici è la crescente spesa statale che, a dispetto dei numerosi tagli recentemente varati dai governi dei PIIGS, non accenna ad arrestare la propria ascesa. Il caso della Grecia è forse quello più rappresentativo e la seguente analisi può aiutare il lettore a comprendere il perché venti mesi di austerity finanziaria e di iniezioni di liquidità nelle casse di Atene non siano riusciti a porre rimedio alla crisi del debito ellenico.

La questione del debito sovrano di Atene ha iniziato a preoccupare seriamente i mercati sul finire del 2009. Il primo piano di austerity varato dall’esecutivo guidato da Giórgos Papandréou risale al marzo 2010. Tra le misure inserite nella prima manovra correttiva greca figurano la riduzione dei salari dei dipendenti del pubblico impiego, l’aumento dell’Iva di due punti percentuali (da 19 al 21%) e il congelamento della spesa pensionistica. Nel tentativo di rendere più governabili le finanze del Paese ellenico, è stato in seguito necessario operare altri dolorosi tagli alle spese governative – specialmente sul fronte della previdenza sociale. Tuttavia, a quasi due anni di distanza dallo scoppio del “caso Grecia”, tali provvedimenti non hanno prodotto gli effetti sperati.

Il raggiungimento degli obiettivi economici di Atene nel breve periodo – ovvero l’aumento del gettito fiscale, la lotta all’evasione fiscale e la riduzione della spesa pubblica – si sta dimostrando alquanto problematico.Sono i dati relativi al terzo trimestre 2011 a dipingere una situazione che con il passare delle settimane si fa sempre più drammatica. Infatti, stando a quanto riportato dal report trimestrale del Ministero delle Finanze greco, nel corso dei primi nove mesi del 2011 le entrate fiscali sono state 1,5 miliardi di euro inferiori rispetto a quelle nello stesso periodo dello scorso anno nonostante – nel tentativo di porre rimedio all’emorragia finanziaria – l’esecutivo guidato da Papandréou abbia aumentato la pressione fiscale. Dati alla mano, appare evidente che la Grecia stia progressivamente raggiungendo l’apice della curva di Laffer. La curva di Laffer mette in relazione il gettito fiscale reale con l’aliquota di imposta. La teoria suggerisce che esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente e, di conseguenza, il gettito tende ad azzerarsi. Non è detto che, tuttavia, una maggiore pressione fiscale deprimi completamente l’attività economica greca. Infatti, si potrebbe obiettare che l’esistenza di un’imponente economia sommersa (l’evasione fiscale equivale al 30-40% del Pil greco) mitighi gli effetti della curva di Laffer e che, quindi, vi siano ancora i margini per operare un successivo innalzamento delle aliquote.

Ciò potrebbe, tuttavia, ulteriormente incentivare il fenomeno dell’evasione fiscale, una problematica che ha recentemente sollevato non poco interesse tra i colleghi europei. È, infatti, il fallimento d’attuazione della riforma della fiscalità ad aver sino a questo momento contribuito a deprimere il gettito d’entrata nelle casse dell’erario ellenico. Si stima, infatti, che l’evasione fiscale equivalga a circa 120 miliardi di euro annui, un importo – che se sommerso – stravolgerebbe il resoconto finanziario della Grecia. Secondo Eurostat il Pil greco quest’anno si dovrebbe contrarre del 7%.

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Figura 1 – L’andamento dei conti pubblici greci (2010-2011) 

Se da una parte l’esecutivo non è stato in grado di aumentare le entrate nelle casse dell’erario e far emergere l’economia sommersa, dall’altra le politiche di contenimento dei costi della pubblica amministrazione si stanno dimostrando ugualmente fallimentari. Nei primi nove mesi del 2011 il costo della cosa pubblica greca (al netto dell’inflazione) è aumentato del 7% (l’equivalente di 3,4 miliardi di euro) rispetto allo stesso periodo del 2010. Sebbene una politica di contenimento dei salari dei dipendenti pubblici e il taglio agli sprechi abbiano, almeno in teoria, cercato di calmierare le voci di bilancio in uscita, è l’innalzamento dei contributi sociali stanziati per sovvenzionare sia la cassa integrazione sia i prepensionamenti ad aver spinto al rialzo i costi della cosa pubblica. Secondo quanto riportato dall’Istat greco, il tasso di disoccupazione ha recentemente superato la soglia del 16%, (un anno fa era al 12% e due anni fa al 9.4%).

Al tempo stesso, l’inflazione – che a luglio era scesa sotto il 2% dopo aver quasi toccato il 6% lo scorso autunno – ha ripreso a crescere. Le ultime rilevazioni la collocano al 3.1-3.3%. Il Misery Index di Atene, come del resto quello italiano, sta volando verso nuovi massimi storici.

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Figura 2 – Andamento storico dell’indice di miseria

NOTE:

Curva di Laffer – La curva di Laffer è una curva a campana che mette in relazione l’aliquota di imposta (asse delle ascisse) con le entrate fiscali (asse delle ordinate). Fu impiegata da Arthur Laffer, economista dell’University of Southern California (California meridionale, Usa) per convincere l’allora candidato repubblicano alle presidenziali del 1980, Ronald Reagan, a diminuire le imposte dirette. Laffer ipotizzò che esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente e il gettito si azzera, quanto meno se il prelievo raggiunge il 100% del reddito, e quindi che le due grandezze siano legate da una curva continua a forma di campana che ha un massimo, ovvero un’aliquota che massimizza il gettito fiscale.

PIIGS – Si tratta di un acronimo in voga nel mondo anglosassone per riferirsi a diversi paesi dell’Unione europea a causa della loro situazione finanziaria. I membri originari di questa élite sono: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Alla luce della recente crisi, alle già menzionate nazioni sud europee s’è aggregata anche l’Irlanda.

Elaborazione grafici:

Figura 1: Ministero delle Finanze greco / Lighthouse

Figura 2: Stefano Fugazzi