A colloquio con la comunità ebraica più antica al mondo

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In una cornice suggestiva tra l’Isola tiberina ed il Campidoglio sorge il quartiere ebraico di Roma. La storia del ghetto risale al 12 luglio 1555 quando papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato “serraglio degli ebrei”, facendolo sorgere nel rione Sant’Angelo accanto al Teatro di Marcello, in una zona malsana, soggetta a inondazioni con cancelli chiusi alla sera e riaperti all’alba. Fu scelta questa zona perché la comunità ebraica, che nell’antichità classica viveva nella zona dell’Aventino e, soprattutto, in Trastevere, ne costituiva la maggioranza della popolazione. Oltre all’obbligo di risiedere all’interno del ghetto, gli ebrei, come prescritto dal paragrafo tre della bolla, dovevano portare un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili: un berretto gli uomini, un altro segno di facile riconoscimento le donne, entrambi di colore glauco (glauci coloris). Nello splendido scenario della sinagoga , abbiamo incontrato il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni per conoscere meglio la religione e la cultura ebraica.

D: Cominciamo dalle origini. Si può essere ebreo, nascendo da madre ebrea o diventandoci attraverso una conversione di fronte ad un tribunale rabbinico. Cosa significa essere ebrei?

R. Di Segni: Ci sono tante discussioni antiche ed attuali sull’identità ebraica. L’ebreo ortodosso si considera appartenente ad un sistema nel quale le regole devono essere osservate secondo i dettami tradizionali. In realtà ogni ebreo è tenuto ad osservare le regole secondo la tradizione, anche se non si definisce ortodosso. La differenza tra ebreo e non ebreo invece è che la condizione ebraica si ottiene con la nascita o attraverso una libera scelta ma quest’ultima presuppone l’impegno all’osservanza delle regole. Non è un atto puramente teorico. Ti devi impegnare a vivere in maniera completamente differente. Poiché è un impegno molto gravoso, noi tradizionalmente non andiamo in cerca delle conversioni, anzi facciamo il possibile per scoraggiare le persone perché non occorre essere ebreo per essere persone oneste e degni di premi in questo e nell’altro mondo.

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D: C’è un numero a queste regole?

R. Di Segni: Il numero delle regole tradizionali è 613 ma quelle da osservare in questo momento storico sono solo un centinaio.

D: Molte persone si confondono quando si afferma che discendiamo tutti dagli ebrei. Ci può chiarire la storia com’è?

R. Di Segni: Ci sono due modi per intendere questa frase che francamente non ho sentito molto spesso. Un primo modo riguarda una sorta di rapporto religioso per cui la religione cristiana e musulmana sono profondamente debitrici nei confronti dell’ebraismo. L’Islam non si considera discendente dall’ebraismo perché si concepisce come una religione rivelata autonomamente ma è profondamente legato culturalmente ad idee ebraiche essenziali. La religione cristiana invece nasce dall’ebraismo quindi come tali queste religioni sono correlate all’ebraismo, in questo senso c’è una discendenza. In un’altra accezione invece ci potrebbe essere anche una discendenza fisica perché nel corso dei secoli molti ebrei sono stati costretti o hanno scelto di abiurare l’ebraismo per cui le generazioni si sono mescolate.

D: Quindi non dipende dalle leggi noachidi, dal fatto che tutti siamo discendenti di Noè?

R. Di Segni: Un conto è essere discendenti di Noè ed un altro essere discendenti d’Israele che viene dopo Noè. Tutta l’umanità è noachide secondo la Bibbia.

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D: Com’è organizzata una comunità ebraica? Come vengono prese le decisioni all’interno della comunità? Su quali tematiche si decide?

R. Di Segni: Nella struttura organizzativa dell’ebraismo italiano, gli ebrei che vivono in una città fanno capo ad un’organizzazione unica. C’è quindi ad esempio la comunità ebraica di Roma alla quale si scrivono volontariamente gli ebrei residenti nella città o nella circoscrizione. La comunità è un ente morale che ha come scopo istituzionale quello della salvaguardIa e tutela dei valori religiosi della nostra tradizione e quindi si occupa di educazione, di culto e di assistenza sociale, per citare le principali attività. Gestiamo scuole, gestiamo sinagoghe, le attività di culto e l’educazione formale ed informale.

D: Vi sono comunità ebraiche in tutto il mondo e quella di Roma è la più antica. Come comunicano tra loro? Vi sono organismi o istituzioni sovranazionali? Come sono i rapporti con la Comunità di Londra?

R. Di Segni: L’organizzazione comunitaria inglese è differente da quella italiana. L’affiliazione in Inghilterra passa attraverso la sinagoga e non attraverso la comunità. Esistono in Inghilterra organizzazioni più ampie che raccolgono più sinagoghe come la United Synagogue. I rapporti con loro sono mediati da organizzazioni internazionali che possono essere di tipo laico o altro. Ci sono organi di rappresentanza dell’ebraismo europeo così come ci sono organi di rappresentanza rabbinici ai quali i nostri rabbini fanno capo.

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D: Seguendo alcune regole quali ad es. il Kasher (Kosher) com’è possibile una convivenza nella società economica politica ed amministrativa in cui si risiede?Un caso pratico: Secondo le regole del kasher l’animale per essere puro deve essere macellato con un solo taglio alla gola eseguito con un coltello affilatissimo, in modo da provocarne l’immediata morte e il completo dissanguamento. Il parlamento olandese sta discutendo una legge per introdurre lo stordimento dell’animale prima dell’uccisione, provvedimento che contrasta con la conformità del Kosher. Cosa avviene in questi casi?

R. Di Segni: Quando esiste il rischio che vengano fatte delle norme limitative della libertà religiosa si cerca d’intervenire con tutti i metodi democratici per convincere i rappresentanti del popolo che siedono nei parlamenti o nei governi dei rischi che ciò comporta come limitazione di libertà religiosa in modo democratico ed aperto sperando che ci si riesca. Se non ci si riesce poi ciascuno decide come sopravvivere in una società che assume nei suoi confronti degli atteggiamenti ostili.

D: A settembre si è svolto il Festival della Letteratura ebraica a Roma. La letteratura è lo specchio di una società, cammina con essa, ne esprime i suoi tempi ed i suoi valori e disvalori. Cosa esprime a riguardo la letteratura ebraica contemporanea?

R. Di Segni: Ci sono molti scrittori di origine ebraica alcuni dei quali portano avanti tematiche generali ed altri esprimono sensibilità che derivano da esperienze ebraiche particolari. Ci sono le sensibilità relative all’abitare nello stato d’Israele , altre che derivano nel vivere le grandi diaspore. Il primo nome che mi viene in mente negli Stati Uniti è Philip Roth. Questi scrittori spesso interpretano le crisi ed i tormenti della società contemporanea mettendoci dentro le sensibilità particolari dell’ebraismo derivanti purtroppo spesso da storie penose e poi uno spirito critico non conformista e spesso ironico

D: Com’è oggi il dialogo religioso con la Chiesa cattolica? Vi sono delle differenze tra il rapporto con Papa Benedetto XVI e Papa Giovanni Paolo II?

R. Di Segni: La differenza che c’è dipende dallo stile e dal carattere dei personaggi. Giovanni Paolo II era un personaggio mediatico che si esprimeva attraverso grandi gesti. Benedetto XVI è un papa molto più intellettuale e riflessivo che si esprime in maniera differente. Esiste un continuo contatto ed una modalità di collaborazione, di scambio corretto di opinioni.

D: La religione cattolica spesso deve adattarsi ai tempi rivedendo alcuni suoi dogmi. La religione ebraica è dinamica e si sta evolvendo verso una visione futura?

R. Di Segni: Dipende dagli argomenti. Vi sono settori in cui si è evoluta ed altri in cui è rimasta rigida.

D: Un esempio per tutti?

R. Di Segni: Ad esempio nel diritto familiare un tempo c’era il ripudio e la poligamia. Da mille anni a questa parte la separazione è consensuale e la poligamia è proibita.

D: E’ ammesso il matrimonio fra non ebrei? Dato che si nasce da madre ebrea , una donna ebrea può sposare un non ebreo?

R. Di Segni: Non è lecito secondo la nostra religione perché il rapporto fra coniugi rientra fra le norme fondamentali della vita religiosa e quindi si creerebbero delle situazioni conflittuali.

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D: Perché la religione ebraica ha bisogno di un territorio-Stato?

R. Di Segni: In realtà prima della religione ebraica è il popolo che ha bisogno di un territorio nel quale possa vivere libero ed indipendente senza leggi limitative delle proprie espressioni culturali. La religione ebraica ha bisogno di un territorio perché c’è un rapporto particolare con una terra destinata ad Abramo ed i suoi discendenti e non è un modo completo di vivere l’esperienza religiosa quella che si fa fuori dalla terra. In realtà siamo tutti degli esiliati. Anche Adamo è un esiliato. Noi nella storia della dispersione della diaspora sperimentiamo l’esilio. Ma quest’ultimo è un momento nella storia, non è la storia.

D: Com’è possibile che in una città come Londra convivono ortodossi ebrei e musulmani nella zona di Wood Green e Golders Green pacificamente e la stessa convivenza non è possibile in terra d’Israele?

R. Di Segni: Intanto spero che quello che lei dice si mantenga nel tempo. Dall’Inghilterra io ho dei segnali molto preoccupanti. Il problema degenera quando la politica inquina i rapporti ossia quando una persona diversa da me per credo, mi guarda non come una persona diversa di credo, da rispettare o non rispettare secondo il suo livello di tolleranza, ma mi guarda come cittadino di uno stato nemico all’estero, allora c’è l’inquinamento politico del rapporto.

D: Pensa che la convivenza pacifica avviene perché mossi da una stessa motivazione ossia fare business in terra straniera?

R. Di Segni: Intanto non una terra straniera: qui noi abitiamo da 21 secoli. In molti casi effettivamente l’equilibrio nasce da necessità economiche, ben vengano se portano la pace. Soltanto che in questa società stanno saltando certi meccanismi, per cui siamo a rischio.

D:In un’intervista Lei ha affermato che in un teorico Stato d’Israele non ci sarebbe nessun spazio per l’idolatria. Quindi nessun altro culto. Ma se tutti gli stati avessero questo dogma non esisterebbe alcuna sinagoga. Che ne pensa?

R. Di Segni: Rimaniamo sul piano teorico

D:Sareste disposti ad accettare l’interculturalità ossia il fatto che altre religioni e culture possono arricchire il cammino? E’ possibile che persone di diversi culti non solo convivano insieme ma compiono insieme il cammino arricchendosi vicendevolmente della propria tradizione?Due amici ebrei e non ebreo possono esserlo fino in fondo o c’è sempre qualcosa che li separa?

R. Di Segni: Che vuol dire fino in fondo?

D: Nel senso di capire se viene prima il lato divino in una persona o il lato umano ?

R. Di Segni: Ci sono infinite variabilità in questo discorso stiamo facendo una teorizzazione che ci porterebbe a conseguenze assurde rispetto alla realtà.

D: Nel senso?

R. Di Segni: L’amicizia si fonda su un rispetto reciproco che è anche comprensione delle differenze. Se non c’è rispetto della diversità e della dignità dell’altro non può esserci amicizia.

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D:Lei è un medico. In relazione alla sua religione cosa ne pensa dell’eutanasia?

R. Di Segni: L’eutanasia attiva non è accettata nella nostra religione.

D:E dell’aborto?

R. Di Segni: No l’aborto è differente. Il concepito non è tutelato come la madre, non è una vita autonoma con un diritto civile. Quindi in caso di conflitto tra diritto materno alla vita e diritto del feto si sceglie la madre anche se questo è un tema diverso dall’interruzione della gravidanza in sé.

D: Italiano e romano. Se si creasse davvero lo Stato d’Israele, cambierebbe la sua vita radicalmente andandosene dall’Italia?

R. Di Segni: Non si tratta di stato teorico. Esiste uno stato d’Israele adesso al quale sono rivolti i nostri occhi. Il problema è pratico. C’è e bisogna continuare a chiedersi per quale motivo uno si trovi qui piuttosto che lì.

D: Come reagisce la comunità davanti ad un ebreo che decide di cambiare religione?

R. Di Segni: In questo periodo sono abbastanza rari. E’ considerata una perdita, è considerato un atto che rappresenta il fallimento delle nostre strutture educative.