I bioindicatori una risorsa per il monitoraggio ambientale

0
2589
tor_vergata

Il tema del monitoraggio ambientale, in relazione a fattori inquinanti, è in continua evoluzione ed alterna innovazione, quali la recente messa a punto di un drone da parte dell’università partenope di Napoli ,all’uso di bioindicatori. Quest’ultimo pur essendo di applicazione relativamente recente, oltre ad essere in continuo sviluppo, si avvale anche di tecniche antiche quali quella dell’acquacoltura che apporta un profondo ausilio per interpretare le variazioni nel grande libro della natura.  Abbiamo incontrato la dott. Clara Boglione, ricercatrice del Dipartimento di Biologia Università di Roma ‘Tor Vergata, che conduce da anni studi sulla morfologia scheletrica dei pesci presso il Laboratorio di Ecologia Sperimentale ed Acquacoltura per capire il ruolo, l’importanza e l’utilità dello studio dei bioindicatori.

Cosa sono i bioindicatori?

C.B Indicatore è un termine che può essere utilizzato per qualsiasi disciplina: è un segnale o di un processo, o di alcuni effetti, oppure di risultati che permettono di giudicare o misurare o descrivere un fenomeno con un significato che va oltre ciò che è direttamente associato al valore del segnale stesso.

In ambito biologico?

C.B. In ambito biologico si intende un sistema biologico che mediante variazioni del suo stato (biochimico, fisiologico, morfologico, ecologico) rappresenta la risposta ad una situazione di stress e fornisce informazioni sulla qualità dell’ambiente. Per sistema intendiamo il raggruppamento di più componenti che possono essere organismi, specie o tessuti.

Perché sono importanti?

C.B. Innanzitutto l’indicatore deve essere misurabile in modo chiaro, deve avere un valore quantificabile ed avere capacità di discriminare tra condizioni ambientali diverse.

L’ambiente è un sistema complesso nel quale molti fattori diversi interagiscono a differenti livelli. Le variazioni riscontrate nella popolazione di una comunità possono alterare la struttura dell’intera comunità.

L’indicatore è quel sistema capace da solo di misurare lo stato di salute di un ecosistema, una comunità, una specie, un organismo. Deve avere capacità descrittiva e predittiva. Fotografando la situazione attuale deve essere dotato di capacità proiettive sull’andamento futuro e quindi descrivere se l’ambiente analizzato è in una situazione sana, di pericolo, di degrado o senza possibilità di ripristino. 

Cos’è una comunità?

C.B. Ogni insieme di popolazioni che vive in una data area o habitat fisico e rappresenta la parte vivente (biotica) dell’ecosistema; le popolazioni interagiscono tra loro e con l’ambiente con ben definite relazioni trofiche, di competizione, predazione, simbiosi, …. E’ un’unità strutturale e funzionale con specie caratteristiche e struttura trofica propria. E’ soggetto ad un equilibrio dinamico, sottoposto a continue variazioni ma che avvengono all’interno di un range di tolleranza, all’interno del quale il sistema è in grado di autoregolarsi, grazie ai processi omeostatici. Se le condizioni ambientali prevaricano i limiti di tolleranza, la comunità muore. 

IMGP0255

Su quale indicatore lavorate principalmente?

C.B. Noi lavoriamo con i pesci avendo come riferimento lo studio ambientale degli ambienti acquatici.

Un esempio pratico?

C.B. Io mi occupo di analizzare la presenza di anomalie scheletriche nei pesci come segnale di allarme di condizioni ambientali alterate. Utilizziamo una tecnica semplice, che permette di rendere completamente trasparente il corpo dell’individuo, tranne lo scheletro: il tessuto osseo viene colorato selettivamente con il rosso mentre quello cartilagineo con il blu. 

Uno esempio di uno studio che utilizza le anomalie scheletriche nei pesci come indicatore dello stato di salute di un ambiente acquatico è quello che stiamo effettuando sul fiume Sacco, che è un affluente del Liri tra la provincia di Roma e Frosinone. Questo corso d’acqua è stato, nel corso degli anni, recettore di ogni genere di inquinante, tanto che dal Marzo del 2005 la valle del Sacco è stata dichiarata in stato di emergenza socio-economica-ambientale. Il problema è emerso in seguito al ritrovamento nel latte proveniente da aziende zootecniche di alcuni comuni della zona del Sacco (Segni, Gavignano, Paliano, Sgurgola e Anagni), di residui di un isomero dell’insetticida esaclorocicloesano (Beta-HCH), composto che deriva dal ciclo di produzione del Lindano, utilizzato abbondantemente fino agli anni 80’ sulle colture e come antiparassitario sugli animali.

pesce

Giovanile di Cavedano affetto da anomalie dell’asse vertebrale

Tracce di questa sostanza inquinante sono state trovate nel letto del fiume e successivi controlli nelle aree circostanti hanno portato alla scoperta di accumuli di rifiuti tossici e nocivi responsabili della contaminazione della falda, oltre a discariche abusive contenenti un numero non precisato di fusti interrati, non integri, contenenti sostanze altamente pericolose. La situazione è ulteriormente aggravata dalle acque reflue provenienti dalla zona industriale di Colleferro (con industrie chimiche, petrolchimiche, farmaceutiche, produttrici di armi ed esplosivi, di materiali edili, di carrozze ferroviarie, ecc.), che riversano nei torrenti affluenti del Sacco metalli pesanti (come mercurio, cadmio, piombo e arsenico), PCBs (poli-cloro-bifenili) e anche cianuro, responsabile della morte di alcuni bovini alla periferia di Anagni. Poichè è (o dovrebbe essere) in corso un’azione di bonifica della zona, noi stiamo campionando nei tratti di fiume a monte e a valle di Colleferro, andando a vedere in varie specie di pesce l’eventuale presenza di anomalie scheletriche. Nella zona a maggiore inquinamento ovviamente non ci sono pesci. 


A questo punto della ricerca che succede?

C.B. Dovrebbero iniziare le bonifiche e noi continuiamo a monitorare il fiume in quella regione, a distanza di tempo utilizzando diversi metodi.

Entriamo nel dettaglio nello scheletro dei pesci che analizzate?

C.B. Lo sviluppo di anomalie scheletriche può essere ascrivibile a cause diverse. Lo scheletro risponde innanzitutto al controllo genetico ma vi sono poi elementi epigenetici di controllo che intervengono nel modularne lo sviluppo, quali la temperatura, l’ossigeno, la salinità, alterazioni delle correnti, della disponibilità trofica, cibo insufficiente, o sostanze xenotossiche. 

Analogia con lo scheletro umano?

C.B. I controlli genetici sembrano essere sostanzialmente gli stessi, mentre per quanto riguarda il controllo epigenetico sono attualmente veramente scarse le conoscenze sia negli umani che nei pesci.

IMGP0253

Gli studi finora eseguiti hanno comunque accertato la presenza di differenze nei processi di ossificazione dovute principalmente al fatto che gli elementi scheletrici dei pesci contengono anche tessuti diversi da quelli presenti nei tetrapodi. A differenza degli umani, inoltre, i pesci continuano a crescere per tutta la loro vita quindi il loro scheletro è continuamente soggetto ad azione di modellamento e rimodellamento per tutta la durata della loro vita, aumentando così l’esposizione agli effetti delle condizioni ambientali. 

 Come fate a distinguere se una malformazione deriva dall’ambiente inquinato piuttosto che dalla genetica?

C.B. Quello non si può distinguere. Purtroppo, non c’è una corrispondenza univoca tra tipo di anomalia e causa: molti fattori diversi possono indurre lo stesso tipo di anomalia scheletrica, come lo stesso fattore causale può provocare anomalie scheletriche differenti in specie diverse di pesci, ad esempio. Quindi le nostre indagini sono da utilizzare come screening preliminare per la valutazione dello stato di salute di un ambiente acquatico. 

E quindi passate ad analizzare le percentuali ottenute?

C.B. Esatto. Quando osserviamo una percentuale alta di individui affetti da anomalie gravi è evidente che ci troviamo di fronte ad una situazione ambientale alterata. In letteratura abbiamo dei livelli minimi: un sistema sano dovrebbe registrare al massimo uno 0,06% di individui malformati. Quando tocchiamo percentuali del 2% la situazione è sofferente, oltre il 6% il sistema è fortemente alterato.

pesce

Quali percentuali avete rilevato?

C.B. Sul fiume Sacco abbiamo rilevato, in alcuni siti, percentuali anche del 100% di individui malformati. Se poi distinguiamo tra anomalie leggere e anomalie gravi le percentuali si abbassano ma restano comunque al di sopra del range sopra indicato.

Perché la necessità di un bioindicatore? Perché non fare direttamente  l’analisi dell’acqua  ?

C.B. Perché se dobbiamo analizzare un ambiente di cui non sappiamo nulla, dovremmo andare alla cieca ad analizzare le acque, i sedimenti e i terreni circostanti per cercare un non ben identificato sostanza xenotossica. Ad esempio se vogliamo vedere se c’è cesio devo fare un’analisi specifica per il cesio, per il lindano un’altra analisi e così via, e ogni analisi risulta molto costosa. E se alla fine non troviamo nulla? Vuol dire che non c’è alcun contaminante o che non abbiamo pensato a cercare quello giusto? Analizzando 100 pesci possiamo già dire se ci sono condizioni alterate o no.

Come vengono campionati i pesci?

C.B. Nei fiumi utilizziamo l’elettrostorditore, che è un apparecchio che genera elettricità a basso voltaggio: quando lo inseriamo in acqua liberiamo una leggera scarica che stordisce i pesci, i quali salgono in superficie e vengono facilmente campionati. 

Quindi abbiamo registrato una serie di malformazioni gravi a questo punto cosa accade?

C.B. Noi abbiamo un database di dati relativi ad una decina di specie allevate di acqua marina e 5 di acqua dolce dei quali registriamo i dati relativi a lotti provenienti sia da condizioni alterate che da condizioni sane e quindi come riferimento utilizziamo dei selvatici presi da luoghi sani come modello di riferimento. Noi non siamo un’agenzia per la protezione ambientale del territorio, ci sono strutture regionali e provinciali ad esse deputate. Quello che noi possiamo fare è publicare i nostri risultati sulle riviste scientifiche.

Avete rapporti con le università estere?

C.B. Il nostro gruppo ha collaborato e collabora tuttora in alcuni progetti finanziati dalla comunità Europea con altre Università Europee. Io faccio anche parte di un progetto europeo che si chiama LARVANET ed è una rete di scambi tra ricercatori che studiano le larve dei pesci ed a dicembre dall’Università delle Canarie verranno degli studenti presso il nostro laboratorio, finanziati da un progetto europeo, per imparare questo metodo di monitoraggio delle anomalie scheletriche. Inoltre, abbiamo collaborato con l’università di Dublino sulla presenza di anomalie giovanili di larve di platessa nel Mar del Nord.

images

Quali sono le zone più a rischio?

C.B. E’ una domanda un po’ troppo generica. Per quanto riguarda il rischio idro-geologico, esiste la carta dei comuni a rischio. Per quanto riguarda gli ambienti acquatici, sicuramente tutta la fascia costiera e i fiumi che costeggiano zone industriali possono essere considerati a rischio di impatto antropico.

Come può fare ogni individuo nella quotidianità come contributo positivo?

C.B. La raccolta differenziata secondo me è un esempio apparentemente semplice ma fondamentale perché educa le persone sensibilizzandole alla quantità di rifiuti che ognuno di noi crea ogni giorno, a saper riconoscere i rifiuti ‘buoni’ (riciclabili o riutilizzabili) da quelli che non lo sono (i rifiuti che vanno in discarica) e cercare di ridurre il più possibile questi ultimi. Reputo questo atteggiamento di alta valenza educativa. Non parlo da ecologista, non penso che l’uomo si debba mettere al servizio della natura, ma da ecologa che lavora affinché l’uomo e l’ambiente naturale possano convivere in una forma di rispetto reciproco. Ci sono due modi di vivere l’ambiente: come il cowboy o come l’astronauta. Il primo pensa di avere a disposizione risorse infinite e spazi illimitati, data la bassissima densità di popolazione. Il secondo, a cui dobbiamo ispirarci, è nella sua navicella dove lo spazio e le risorse sono limitate ed i rifiuti che produce devono essere riciclati.

Fonti immagini ape : stilenaturale.com

pesce: leparoledellascienza.org