La crisi del debito sovrano sta mettendo a dura prova non solo le agonizzanti economie di Eurolandia, ma anche l’intero assetto politico dell’Unione Europea. Il fenomeno, dapprima circoscritto ai soli Paesi “satellite” dell’UE – come Grecia e Portogallo – non solo sta rischiando di gettare nel vortice le principali economie dell’area economica – come Francia e Italia – ma potrebbe persino sconvolgere le gerarchie prestabilite e determinare un radicale riassetto delle istituzioni comunitarie. Alla luce dell’attuale crisi, la Germania sta progressivamente emergendo come il vero leader all’interno dello scacchiere politico europeo. L’ascesa di Berlino, tuttavia, non è vista di buon occhio da una parte dei membri dell’UE e rischia di destabilizzare una regione che mai come in questo momento avrebbe bisogno di coesione per porre rimedio alla crisi finanziaria. Non è inimmaginabile presupporre che i prossimi mesi saranno caratterizzati da crescenti tensioni tra la fazione degli eurocrati filo-tedeschi e quella degli euroscettici filo-britannici.
A dimostrazione delle crescenti frizioni all’interno dell’UE, sono significative le parole usate lo scorso 16 novembre dall’europarlamentare britannico Nigel Farage che ha accusato il Cancelliere tedesco Angela Merkel di aver violato la sovranità dei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi imponendo a Grecia e Italia governi tecnici. Secondo il politico inglese – uno dei fondatori dell’UKIP, un partito inglese di stampo conservatore ed euroscettico – l’Unione Europea è un’istituzione fantoccio perché a detenere il vero potere sarebbe la Germania. “Viviamo ora in un’Europa dominata dalla Germania. Un’eventualità che il progetto europeo intendeva escludere”. Chiari sono i riferimenti storici ai fatti che contribuirono alla creazione della Comunità Economica Europea all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale e dell’egemonia nazista. Le coraggiose affermazioni di Farage non fanno altro che riecheggiare i timori recentemente espressi David Cameron in occasione di un summit anglo-tedesco. Il primo ministro britannico si è detto, infatti, molto preoccupato della situazione continentale e teme che il Regno Unito possa accusare il contraccolpo economico. Inoltre, all’interno della stessa coalizione di governo britannica vi è una crescente insofferenza nei confronti dei colleghi europei, rei di impiegare una buona fetta dei fondi comunitari provenienti da Londra per tenere solventi i Paesi della zona euro. Tuttavia, anche sul fronte tedesco vi sono crescenti malumori nei confronti dei sudditi di Sua Maestà. I colleghi tedeschi, infatti, rinfacciano ai britannici il fatto di essere membri part-time dell’UE, una situazione che rischia di penalizzare entrambe le parti. Come ha recentemente precisato il Cancelliere tedesco, sarebbe logico attendersi dal Regno Unito una maggior cooperazione e coinvolgimento con gli altri Paesi europei della zona euro. In altre parole, è troppo conveniente rivendicare un posto nella sala dei bottoni a Brussels senza volersi sporcare le mani. La presa di posizione della Merkel sottintende che siano appunto i burocrati teutonici a poter rivendicare la leadership all’interno dello scacchiere europeo e che, quindi, sia naturale che la Germania possa imporre all’UE il proprio diktat. Tra le misure che Berlino vorrebbe imporre ai propri colleghi europei ci sarebbe la creazione di un fondo monetario europeo capace di sostituirsi alla sovranità degli stati membri in difficoltà. È quanto è emerso in un documento programmatico redatto dal Ministero degli Interni tedesco e intitolato “Il futuro dell’Ue: i necessari miglioramenti di integrazione politica per la creazione di un’Unione di stabilità”.
Tra le altre misure inserite nel documento, vi è anche la riapertura dei trattati comunitari con l’obiettivo di progressivamente trasformare l’Unione Europea in uno Stato sovrano a tutti gli effetti. Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico The Daily Telegraph, questo documento metterebbe Londra di fronte a un aut-aut politico: per restare in Europa occorre adottare la moneta unica. Se è vero che nel frattempo la Camera dei Comuni ha bocciato la proposta di un referendum sull’UE, molti analisti politici ritengono che, in realtà, il progetto sia stato accantonato solo a titolo temporaneo in attesa di comprendere quale sarà la prossima mossa di Berlino. L’impressione è che i burocrati inglesi e tedeschi abbiano iniziato una lunga partita a scacchi.
Nell’immediato futuro, tuttavia, a tenere banco sarà la parziale riscrittura del Trattato di Lisbona, un corpo normativo che ha, di fatto, imposto troppi vincoli burocratici determinando sia l’allungamento dell’iter legislativo sia i tempi di risposta a crisi sistemiche come quella tuttora in atto. Gli sforzi si potrebbero concentrare su più fronti. Oltre alla creazione del già citato fondo monetario europeo, gli eurocrati saranno chiamati ad affrontare tre spinose questioni: la modifica dell’articolo 123 del Trattato di Lisbona, l’armonizzazione della politica fiscale e la graduale trasformazione dell’UE in una Confederazione di Stati Europei. In merito alla modifica dell’articolo 123 del Trattato di Lisbona, con il passare delle settimane e con l’aggravarsi della crisi del debito sovrano sta prendendo sempre più corpo l’ipotesi di rimuovere diversi vincoli legali. Allo stato attuale, infatti, la Bce non ha la facoltà di acquistare direttamente i titoli di debito emessi dai governi o da altri enti del settore pubblico, ma non ne impedisce l’acquisto sul mercato, con operazioni che un tempo venivano definite di “mercato aperto”.
La sensazione è che questa disposizione sia stata violata in più occasioni nel corso degli ultimi mesi nel tentativo di scongiurare il default di Atene ed evitare il contagio. Al fine di conferire alla Bce una maggiore autonomia, è probabile che tale disposizione venga ammorbidita anche in previsione della ormai prossima introduzione sul mercato degli Eurobond. Vi è poi la questione della politica fiscale comunitaria. Una sua efficace attuazione richiederebbe all’UE l’acquisizione di maggiori poteri e controlli sulle politiche economico-governative locali. Con l’avvicendamento degli esecutivi alla guida di Grecia e Italia – e il loro conseguente ufficioso commissariamento – si è, di fatto, riacceso il dibattito sul trasferimento di sovranità politica – oltre che economica – dagli stati membri all’UE.
I casi di Grecia e Italia potrebbero rappresentare un pericoloso precedente a tal punto che Brussels, una volta recepito il diktat tedesco, potrebbe chiudere questa falla normativa accelerando il processo di trasformazione dell’UE in una Confederazione di Stati Europei dotata di forti poteri decisionali centrali. Sempre che, nel frattempo, Francia e Regno Unito non riescano a mettere freno all’ascesa della Germania sul trono europeo imponendo una più equa spartizione di potere tra i ventisette stati membri.
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