Eurolandia e l’Unione Europea, oltre a rischiare di finire in un tunnel senza via d’uscita, sono innanzi a un bivio che potrebbe ridisegnare gli assetti politici ed economici del Vecchio Continente. A riprova delle crescenti tensioni all’interno dell’Unione Europea, vi è, infatti, l’apparente diffidenza della Germania nei confronti degli eurobond. Le economie più sane dell’Europa Unita vedono con crescente scetticismo l’eventualità di diluire ulteriormente le proprie risorse per fare fronte alla crisi che sta minando alla solvibilità delle economie meridionali dell’UE. Secondo alcuni analisti, è molto probabile che le regioni nord europee si coalizzino e creino una nuova moneta, l’euro germanico. Tale ipotesi trova molti estimatori in Germania e le recenti affermazioni di Hans-Olaf Henkel – l’ex presidente dell’Associazione degli Industriali Tedeschi – secondo cui Austria, Finlandia, Germania e Olanda potrebbero a breve adottare una nuova moneta – altro non fanno che rafforzare i sospetti secondo cui l’euro e l’odierna Unione Europea abbiano i mesi contati.
Se davvero una nuova Europa nordeuropea venisse realizzata, altro non sarebbe che un ritorno al passato. Per comprendere quale sia questo passato, è necessario compiere un breve excursus storico. Il concetto di Europa Unita non è nuovo. Nel corso dei secoli abbiamo assistito alla creazione e alla successiva dissoluzione di realtà politiche quali l’Impero Romano, Il Sacro Romano Impero (noto come il Primo Reich) e l’Impero Tedesco (il Secondo Reich).
Tuttavia, il concetto di Europa moderna risale agli inizi degli anni quaranta del ventesimo secolo quando nel Vecchio Continente imperversa il Terzo Reich. Risale a quegli anni, infatti, il desiderio di creare un’entità sovrana democratica capace di riunire sotto i propri confini gran parte delle nazioni europee. Questo progetto – che culminerà con la creazione dell’Unione Europea – porta le firme di tre economisti francesi: Jean Monnet, François Perroux e Robert Schuman. Cerchiamo di capire chi fossero e quali siano stati i rispettivi contributi. Jean Monnet, francese di nascita, per diversi anni è stato a capo del Ministero delle Finanze e consigliere di de Gaulle. Nel 1943, quando il Terzo Reich era ormai prossimo alla caduta, Monnet auspica la creazione di un soggetto politico paneuropeo. Profetiche sono le parole usate in occasione dell’inaugurazione del Comitato Nazionale di Liberazione: “Non ci sarà mai pace in Europa se gli stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale”.
E aggiunge: “Ciò presuppone che gli stati d’Europa formino una federazione o una entità europea”. Se da una parte Monnet è stato uno dei primi burocrati a caldeggiare la formazione di un super-Stato europeo, a François Perroux va il merito di aver teorizzato nel 1943 la creazione di una moneta unica e di un ente bancario centrale in grado di governare gli equilibri economici di questa futura entità sovranazionale.
L’altra figura chiave nella costruzione dell’Europa Unita è Robert Schuman. Lussemburghese di nascita, figlio di un francese dell’Alsazia Lorena e di passaporto tedesco, si laurea in giurisprudenza in Germania presso l’università di Bonn. Ricopre per diversi anni la carica di Ministro degli Esteri del governo francese ed è proprio attribuita a Schuman la paternità della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, la progenitrice dell’Unione Europea. Non si può però ancora parlare di Europa Unita perché Il Vecchio Continente di quegli anni è ancora un essere disomogeneo diviso in due blocchi: a Est l’area filo-sovietica, a Ovest le democrazie delle ex forze Alleate. Sul finire della Seconda Guerra Mondiale – nel febbraio del 1945 – Churchill, Roosevelt e Stalin si spartiscono l’Europa decretando lo smembramento, il disarmo e la smilitarizzazione della Germania.
L’obiettivo è di garantire una maggiore stabilità politica al Vecchio Continente e, quindi, scongiurare l’instaurazione di regimi totalitari simili a quello nazista. La Storia ci ha in seguito dimostrato che, molto probabilmente, Churchill e Roosevelt hanno commesso un errore di valutazione nel punire eccessivamente la Germania e, al tempo stesso, elargire a Stalin troppe concessioni. Ciò ha indubbiamente contribuito alla creazione del “mostro” sovietico e ha messo a freno il processo di unificazione europeo fortemente voluto dai francesi.
Per porre rimedio agli errori di Yalta e rilanciare il “progetto Europa”, l’Occidente ha combattuto per diverse decadi una lunga battaglia psicologica e d’informazione contro l’URSS: la Guerra Fredda. Il ruolo da Première Dame dell’Europa viene ricoperto dagli Stati Uniti d’America. Senza il contributo di Presidenti quali Franklin Roosevelt (la cui famiglia era di origini olandesi) e Dwight Eisenhower (di origini alsaziane), e i rispettivi consiglieri e strateghi – come il pubblicista di origini austriache Edward Bernays e il giornalista Walter Lippmann – la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la rinascita della Germania come Stato e punto di riferimento dell’Europa del ventunesimo secolo difficilmente si sarebbero verificate. O meglio, l’intervento americano ha contribuito ad accelerare il processo di trasformazione dell’Europa da soggetto economico a politico. È bene ricordare che, infatti, sul finire degli anni ’70 la CEE è sostanzialmente l’equivalente europeo della NAFTA e a ricoprire il ruolo da protagonista è ancora la Francia.
Tuttavia, con l’ascesa al potere di Kohl in Germania nel 1982 gli equilibri sono destinati a cambiare. Kohl ha avuto il grande merito di capitalizzare sulla caduta del muro di Berlino nel 1989 riunificando il popolo tedesco e conferendo alla propria Nazione lo status di punto di riferimento dell’intera regione. L’anno chiave è il 1992 quando viene approvato il Trattato di Maastricht, un accordo comunitario che, di fatto, getta le basi per la creazione della Bce e della moneta unica, e sancisce il graduale trasferimento di sovranità politica – oltre che economica – dagli stati membro a Brussels. La crisi tuttora in atto potrebbe aprire diversi scenari e l’eventualità di un’Europa a due velocità e contraddistinta da due monete – una per gli Stati virtuosi del Nord e una per tutti gli altri Stati Membri – sta prendendo sempre più corpo. I motivi sono noti. Dallo scoppio della crisi greca la Germania e l’Olanda, infatti, hanno risparmiato rispettivamente 20 e 7,5 miliardi di euro in minori costi di rifinanziamento del debito. Basti pensare che a metà del 2008 i bund decennali garantivano un rendimento del 4,7%, oggi il 2%. È quindi molto probabile che la Germania voglia salvaguardare la propria economia spingendo fuori dall’euro le nazioni più deboli. E se ciò si verificasse, è possibile che le nazioni che un tempo costituivano la Prussia – le cui economie moderne sono contraddistinte da un rapporto debito pubblico/Pil inferiore al 60% – entrino a far parte del nuovo sistema monetario germanico. A tal punto la figurativa restaurazione dell’Impero Tedesco, il Secondo Reich, diventerebbe davvero realtà.