Crisi Eurolandia, il quantitative easing: un’arma a doppio taglio?

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Il quantitative easing (QE) è una strategia monetaria non convenzionale usata dalle banche centrali per creare moneta acquistando titoli di stato e obbligazioni sul mercato. Per porre rimedio alla crisi dei debiti sovrani dei GIIPS (Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna), diversi analisti ritengono che la Banca Centrale Europea potrebbe ufficialmente ricevere il via libera al QE nel corso del primo semestre del 2012. Tuttavia, diversi dati indicano come, in realtà, l’istituto bancario centrale europeo sia già ricorso al quantitative easing nel corso del 2011 reperendo sul mercato secondario i buoni del tesoro dei Paesi più in difficoltà presenti nei portafogli di tutti i principali istituti di credito. Secondo i dati pubblicati dall’EBA (l’autorità bancaria europea) in occasione del consultivo sugli stress test di settembre, infatti, nel corso dei primi nove mesi del 2011 la Bce ha reperito sul mercato secondario oltre 65 miliardi di euro di debiti sovrani, l’equivalente del 13% delle posizioni in essere. Tale attività è proseguita anche nel corso del quarto trimestre dell’anno raggiungendo il proprio apice a novembre.

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L’obiettivo è di ridurre le esposizioni delle banche in bond sovrani a rischio default in previsione della redazione dei consultivi contabili di fine anno. La Bce ha agito esclusivamente sul mercato secondario in ottemperanza all’Articolo 123 del Trattato di Lisbona, una norma che impedisce alla Banca Centrale Europea l’acquisto di tali titoli direttamente dagli stati emittenti. È bene precisare che è piuttosto raro che una banca centrale acquisti sul mercato primario i titoli di stato. In passato la Federal Reserve negli Stati Uniti e la Bank of England nel Regno Unito sono ricorsi al quantitative easing reperendo i titoli di stato sempre attraverso il mercato secondario seppure non vi fossero vincoli legali che ne impedissero l’acquisto diretto. È logico quindi presupporre che qualora la Bce formalmente annunciasse una campagna di quantitative easing, questa avvenga operando sul mercato secondario. Il motivo è riconducibile a una semplice questione di governance: impedire che l’ammorbidimento della dottrina monetaria istighi i governi non virtuosi al vizio del debito vanificando, di fatto, tutti i recenti sforzi compiuti in materia di disciplina fiscale nazionale. Scongiurata è, quindi, la necessità di riscrivere l’Articolo 123 del Trattato di Lisbona.

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A spingere la Bce ad annunciare un QE più massiccio nel primo semestre del nuovo anno potrebbe essere l’aggravarsi della situazione economica europea. Secondo gli analisti di Bank of America-Merrill Lynch (BAML), infatti, la Bce potrebbe ricorrere al quantitative easing qualora (a) si verificasse un congelamento completo di mercati interbancari, (b) un numero di istituti di credito dei GIIPS dichiarassero il fallimento e/o si verificasse un’accelerazione dei deflussi di deposito, (c) le aste di collocamento dei buoni del tesoro non andassero a buon fine, e (d) i costi di rifinanziamento dei debiti sovrani divenissero insostenibili. Perché il quantitative easing funzioni, è necessario che le politiche monetarie della Bce si integrino all’intero di un quadro di riforme comunitarie di più ampio respiro. La crisi dei debiti sovrani europei ha evidenziato come non vi siano alternative all’armonizzazione della fiscalità europea e alla riforma delle politiche comunitarie.

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Inoltre, il problema del debito non può essere risolto semplicemente trasferendo l’onere dai paesi emittenti alla Banca Centrale Europea. In secondo luogo, si potrebbe argomentare che l’attuale crisi non sia necessariamente riconducibile ai soli titoli di stato. L’indebitamento e il deficit di bilancio medio dei paesi della zona euro è, infatti, inferiore rispetto a quello del Regno Unito e degli Stati Uniti. La crisi è, in realtà, più profonda perché riguarda la governance dell’intera Unione Europea e non il solo assetto debitorio. Per una decade si è vissuta l’illusione che la moneta unica fosse in grado di sostituirsi alla necessità di armonizzare non solo la fiscalità dell’area, ma anche le istituzioni europee, spingendo in là nel tempo il varo di riforme mirate al consolidamento dell’economia reale. Se davvero la Bce lancerà una campagna di quantitative easing, quale potrebbe essere l’impatto sull’economia reale? In primo luogo, il QE potrebbe comportare un deprezzamento della moneta unica. Un prolungato deprezzamento dell’euro sosterebbe le economie dell’area perché a fronte di un calo della domanda interna per prodotti e servizi, le esportazioni fuori dalla zona euro ricomincerebbero a crescere. Inoltre, l’aumento della massa monetaria circolante potrebbe aggiungere nuovi fondi al capitale delle banche, le quali potrebbero a loro volta estendere queste nuove linee di liquidità alle imprese e al consumo – sotto forma di prestiti a costi ragionevolmente bassi – contribuendo, di riflesso, al rilancio della domanda interna all’area europea. Non è detto, tuttavia, che una tale politica sortisca tutti gli effetti desiderati. Infatti, una maggior massa monetaria in circolazione rischierebbe di innalzare i prezzi al consumo erodendo ulteriormente il potere d’acquisto. Inoltre, in un contesto politico-economico caratterizzato da pesanti incertezze, le attuali condizioni di mercato non invogliano di certo le aziende dei settori primari e secondari a investire nell’area europea anche a fronte di un accesso più agevolato al credito.

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