ITALIANI ALL‘ESTERO: UNA RISORSA

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“A dire che gli italiani all’estero sono una risorsa sono buoni tutti. Si tratta del classico riconoscimento dovuto che consola e non costa niente. Quando però dalle parole si passa ai fatti il quadro cambia: tagli alla rete consolare, tagli ad istituzioni come gli IIC, tagli ai patronati all’estero che fanno un lavoro utile, ritardi, rinvii e poi l’imposizione di tempi impossibili per il rinnovo dei Comites (salvo poi estendere le date all’ultimo minuto).

Ogni tanto viene messo in discussione perfino il diritto di voto di cittadini che risiedono fuori dall’Italia. Si dice “siete una risorsa” e s’intende “siete una fonte di costi”. E perché? Perché “pagate le tasse in un altro paese, fate crescere il PIL di un altro paese, se create posti di lavoro li create in un altro paese. All’Italia che gliene viene?” Gliene viene, eccome se gliene viene. E tanto anche!”. A spiegare “quanto” è Carla Ciarlantini-Krick su “Pd – cittadini del mondo”, il notiziario del Dipartimento coordinato da Eugenio Marino. Sul notiziario, curato da Adriana Leo, Ciarlantini-Krick tiene la rubrica “Oltre il bordo del piatto”.

“Un esempio è stato l’iniziativa lanciata nel 2009 con il nome „Usa l’Italia“, che giocava sul doppio significato di USA nel senso di Stati Uniti e di invito ad utilizzare. Utilizzare cosa? I prodotti italiani di alto livello nei settori alimentare, moda e tecnologie. L’iniziativa intendeva aprire il mercato nordamericano ad un gruppo di aziende italiane disposte ad investire in innovazione ed espansione internazionale. Consisteva in eventi, missioni, organizzazione di incontri tra le imprese italiane e possibili partner commerciali negli USA. Fu finanziata con 1.5 milioni di Euro e alle aziende partecipanti ne fruttò 15 milioni. Un elemento chiave del suo successo fu un italiano che, dopo aver fatto carriera presso multinazionali come la Fiat della quale è stato anche CEO North America, ha fondato una sua azienda nei dintorni di New York e fornisce consulenza strategica a clienti sia americani che italiani. Dando suggerimenti su come fare i primi passi, dove cercare i primi clienti e indicando, grazie alla sua esperienza e alla sua rete di contatti, a chi rivolgersi per creare una base commerciale sul posto, questo italiano ha contribuito a generare un giro d’affari che continua ad avere successo anche oggi.

E si dà il caso che quelle aziende italiane che presero parte all’iniziativa „Usa l’Italia“ paghino le tasse in Italia, facciano crescere il PIL italiano e creino posti di lavoro in Italia. Grazie anche ad un italiano all’estero.
Un altro esempio me lo ha fornito Cesare Saccani, anche lui un dirigente di lunga esperienza, anche lui italiano all’estero, attualmente in India. Cesare lavora nel settore delle costruzioni e anche lui ha fondato una sua impresa che si occupa di controlli di sicurezza nei cantieri. Durante una recente conversazione Cesare mi ha fatto notare che nel 2013 l’industria italiana delle costruzioni ha fatturato qualcosa come 60 miliardi di Euro – ripeto: 60 miliardi – in commesse estere. Di queste commesse quasi il 30% è venuto dal Sudamerica, primo fra tutti dal Venezuela, mentre l’Asia, che pure è un mercato enorme e in crescita, è arrivata appena al 3%. Come mai?
Probabilmente per varie ragioni, delle quali una però salta agli occhi: il Sudamerica, Venezuela in testa, vanta una forte presenza di italiani ben inseriti, che hanno avuto un notevole successo professionale e che non solo conoscono benissimo il mercato locale, ma possiedono anche una solida rete di contatti sia con le imprese locali, sia con il settore pubblico, quest’ultimo fondamentale per qualunque progetto di costruzioni di dimensioni significative. Grazie al loro supporto le imprese di costruzioni italiane sono riuscite a farsi conoscere e ad essere prese in considerazione nelle gare per appalti importanti. In Asia invece gli italiani sono pochini e infatti lì ancora non siamo riusciti a schiodare.
Ora, anche le imprese di costruzioni che con il contributo degli italiani all’estero hanno portato a casa 60 miliardi di Euro si da il caso che paghino le tasse in Italia, facciano crescere il PIL in Italia e creino posti di lavoro in Italia.

E allora perché tanti considerano gli italiani all’estero come un peso, una palla al piede, una fonte di costi e basta? Semplice: perché nessuno si da la pena di informarsi, valutare, fare i conti con uno sguardo che vada un po’ al di là delle Alpi e del Mediterraneo. Nessuno – tanto per tenere fede al nome di questa rubrica – guarda oltre il bordo del piatto. Abbiamo mandato all’estero, intenzionalmente o meno, fior di competenze, ma non ci passa per la mente di farne buon uso in modo sistematico e organizzato. Per dirla con Cesare Saccani: “I knowledge workers di recente emigrazione costituiscono una risorsa preziosissima da sostenere e coinvolgere sempre più nella competizione tra reti organizzative per tre ragioni perché sono: – i primi e migliori promotori del Made In Italy e della nostra cultura nei paesi emergenti. – i veri conoscitori di mercati lontani e complessi – abituati a competere su competenza, innovazione, merito ed etica. (omissis) Il PD deve mostrare coraggio e deve fare del coinvolgimento degli Italiani “oltre l’Europa” un punto cardinale per favorire il processo di crescita dell’economia e sprovincializzare il paese”.

Per finire, un esempio più vicino a casa nostra: negli ultimi giorni ho concluso un lavoro di ricerca di clienti e partner commerciali per un’azienda italiana che sviluppa e produce sistemi per la regolazione del voltaggio in impianti commerciali e industriali. Un’azienda di consulenza sull’efficienza energetica e due rivenditori hanno preso questi sistemi nel loro portafglio, e tutto questo in Germania, paese dove di sicuro le tecnologie avanzate non mancano. Come mai il progetto è riuscito?

Anzitutto perché quei sistemi sono molto buoni e hanno alcune caratteristiche che li differenziano dalla concorrenza, il che sta a dire che gli italiani sono bravi, e in secondo luogo perché – guarda caso – a dare una mano è stata un’italiana all’estero. A questo punto i casi sono due: o la politica italiana riconosce il valore della rete degli italiani all’estero, le dà l’attenzione e l’importanza che questa merita e crea una strategia per usarla al meglio, oppure continua con l’indifferenza, il provincialismo e i tagli ai servizi per questa comunità. Però in questo secondo caso che faccia bene i conti delle perdite: saranno alte e tanto”. (aise)