Per capire meglio – L’attacco terroristico in Kenya riguarda tutti noi. Riguarda giovani, e la dignita’ umana. Al fine di comprende meglio le origini di questa strage, ripercorriamo la storia di al-Shabaab e degli attentati perpetrati in Kenya negli ultimi anni, raccogliendo ache il parere delle persone per le strade di Londra.
Un commando armato appartenente al gruppo al-Shabaab ha fatto irruzione nel campus universitario di Garissa, nell’est del Kenya, uccidendo 147 persone, perlopiù studenti di fede cristiana.
Al-Shabaab
Al-Shabaab – in italiano “I giovani” – è un noto gruppo terroristico jihadista attivo in Somalia che collabora con altre organizzazioni terroristiche islamiste come al-Qaeda e Boko Haram.
Fautore di ideali riconducibili al fondamentalismo islamico, al-Shabaab si propone di istituire la regola della Shari’ah come legge dello stato somalo e a tal fine si oppone – ideologicamente e militarmente – a tutti coloro i quali definisce nemici dell’Islam, perlopiù cristiani e musulmani sufi, spesso perpetrando atti di terribile efferatezza come tortura, mutilazione e decapitazione.
Il gruppo terroristico nasce nel 2006 come movimento giovanile estremista nel contesto dell’Unione delle Corti Islamiche, a seguito del cui scioglimento si costituisce subito come gruppo autonomo iniziando una guerra contro il governo federale somalo, le forze etiopi ad esso alleate ed altre forze internazionali di pace.
È proprio il Kenya lo stato scelto da al-Shabaab quale territorio strategico dell’offensiva jihadista nell’Africa orientale. All’origine di questa scelta gli avvenimenti risalenti a due anni fa, quando i miliziani somali dichiararono il Kenya zona di guerra dopo la decisione di Nairobi di inviare soldati in Somalia nell’ottobre 2011 in sostegno dell’AMISOM (African Mission to Somalia), offensiva che avrebbe costretto il gruppo terroristico ad abbandonare, fra gli innumerevoli punti nevralgici, Mogadiscio ed i porti di Chisimaio e Barawe. Al di là della questione religiosa, pertanto, la volontà principale di al-Shabaab in Kenya corrisponde alla destabilizzazione del già di per sé delicato tessuto economico di questo paese.
Secondo una stima del 2014, le truppe paramilitari di al-Shabaab sono composte di circa 8000 unità e si caratterizzano per essere una formazione multietnica a prevalenza somala.
Tuttavia il numero di militanti stranieri sta crescendo anche grazie alla strategia di propaganda che al-Shabaab ha adottato, diffondendo la sua ideologia d’odio attraverso i moderni mezzi di comunicazione quali radio e Twitter al fine di raggiungere un pubblico più vasto e reclutare militanti più giovani, spesso facendo leva su situazioni di disagio sociale.
Questa strategia rispecchia inoltre la trasformazione dello stesso gruppo terroristico, che ha messo gradualmente in secondo piano la tematica nazionalista per configurare la sua lotta come guerra religiosa di carattere globale. Non sorprende allora il vasto numero di proseliti che al-Shabaab è riuscito ad assoldare tra le fasce più deboli della società, né la sua indisturbata, inarrestabile, efferata espansione.
Nonostante sia lacerato da divisioni interne e sia fortemente decentralizzato, infatti, questi fattori rendono al-Shabaab da un lato più debole e dall’altro, paradossalmente, più imprevedibile, di fatto complicando le azioni di opposizione e rendendo le popolazioni della Somalia, del Kenya e dell’Etiopia estremamente vulnerabili.
I precedenti di al-Shabaab in Kenya
Quella di Garissa è una carneficina il cui bilancio supera di gran lunga quello delle precedenti stragi di cui il Kenya continua ad essere vittima inerme ormai da anni. Risale al 2013 la clamorosa azione che Al Shabaab portò a compimento nel centro commerciale Nakumatt Westgate, a Nairobi, catturando molti ostaggi ed uccidendo 67 persone. Come nel caso di Garissa, anche a Nairobi il criterio di selezione adottato dai carnefici per individuare le proprie vittime fu di natura religiosa: separare i musulmani dal resto degli ostaggi, procedere all’esecuzione dei miscredenti.
Una modalità operativa, questa, adottata ancora una volta dai miliziani di Al Shabaab lo scorso 22 novembre nella città keniota di Mandera: dirottato e portato ad alcuni metri di distanza dalla strada principale, un autobus della Makka Travels è stato trasformato in altare sacrificale. 28 passeggeri sono stati brutalmente uccisi, anch’essi estranei al credo islamico.
Le cifre ufficiali, ad ogni modo, lasciano aperti dei dubbi sulla lunga scia di sangue seminata da Al Shabaab: sia nell’attentato del 2013 sia in quello del 2014, infatti, i dati offerti dalla stampa attestano un numero di vittime pari al doppio di quello dichiarato dalle istituzioni.
Versioni discordanti riguardano anche le sorti degli assalitori, nonché le informazioni che il governo keniota avrebbe presumibilmente ricevuto prima degli attentati terroristici.
Nel caso di Garissa, soprattutto, ciò che lascia perplessi è la mancanza di eco degli avvertimenti che i servizi segreti australiani e britannici avrebbero lanciato riguardo all’imminenza di un attacco terroristico, giudicati non abbastanza specifici dall’intelligence keniota per identificare l’obiettivo con il campus universitario di Garissa.
Lo stesso funzionario responsabile della sicurezza dell’Università di Garissa, pare, avrebbe informato oltre un mese fa le autorità locali sulla possibilità che il nuovo attacco preannunciato da al-Shabaab avrebbe potuto mirare al campus universitario.
Opinioni da Londra
La strage di Garissa ci ricorda che la radicalizzazione islamica ha degli effetti su scala globale e non è circoscritta ad una realtà specifica. Proprio per questo abbiamo deciso di raccogliere le impressioni dei londinesi su quanto accaduto in Kenya, interviste dalle quali è emerso che gli avvenimenti di Garissa hanno colpito profondamente l’intera umanità.
Tutti gli intervistati concordano nel condannare la strage come un attentato ingiustificabile, al di là di qualsiasi credo religioso: la decisione di al-Shabaab di colpire degli studenti innocenti ed inermi rivela un’efferatezza negli intenti che supera ogni limite, e non può lasciarci indifferenti.
A tutela della loro privacy i nomi degli intervistati sono sostituiti da pseudonimi.
Peter, studente universitario, rivela la sua preoccupazione: “Da cristiano – afferma – mi sento direttamente coinvolto dalla strage di Garissa, anche se non smetterò di avere fiducia nel prossimo”.
“Mi rendo conto che non si tratta di una questione di fede ma di violazione dei diritti umani” dichiara Sarah, musicista. “È necessaria una collaborazione maggiore fra organi internazionali, al fine di un intervento efficace e risolutivo”.
Khalid, webmaster, è restio a risponderci: “Trovo assurdo dovermi dissociare da questo attentato per il solo fatto di essere musulmano. La strage di Garissa non ha nulla a che vedere con l’Islam, è un crimine contro l’umanità tutta e non deve essere assolutamente strumentalizzata in ottica anti-islamica”.
A pochi giorni di distanza dalla strage, l’aviazione keniana ha bombardato due basi somale dei militanti di al-Shabaab al confine con il Kenya, operazione i cui effetti non sono ancora stati resi noti. Nel frattempo, la polizia keniana cade sotto accusa per l’inspiegabile ritardo (7 ore) con cui ha organizzato il blitz all’interno del campus, e rimangono aperti molti dubbi anche sulla gestione inadeguata dei sistemi di sicurezza e la mancata collaborazione fra intelligence e servizi segreti locali.
Gli avvenimenti di Garissa si inseriscono in un quadro molto complesso e di difficile analisi, ma facilmente sottoposto a strumentalizzazione da parte dei media. Occorre un’analisi approfondita delle reali cause all’origine di attentati come questo, al fine di evitare di cadere in errore identificando gruppi terroristici quali al-Shabaab con l’Islam tutto.