In giorni di polemiche feroci (e tristi) sullo stato della ricerca in Italia, un brillante risultato è stato ottenuto da un gruppo di studiosi dell’Istituto per la Vita della Scuola Superiore Sant’Anna (Pisa), finanziato dal Istituto Toscano Tumori e pubblicato sulla rivista «Oncotarget»: è stata scoperta la proteina «Mycal2».
Tale proteina è stata rilevata come fattore sensibile nella proliferazione metastatica dei processi tumorali di stomaco e reni. Neutralizzarla con tecniche di ingegneria biomedica, dunque, consentirebbe di rallentare o addirittura bloccare il processo di diffusione delle metastasi, come spiega Debora Angeloni, coordinatrice del progetto di ricerca: «punteremo a progettare farmaci che possano bloccare la diffusione delle cellule tumorali».
La scoperta è davvero rilevante, soprattutto se si considera che l’incidenza di morte per cancro è correlata più alla presenza di metastasi che a quella di tumori primitivi (cioè originarii).
Le metastasi, infatti, sono quasi sempre resistenti a chemio e radioterapia, e una volta innescato il processo proliferativo, è difficilissimo contrastarlo. «Spesso – spiega infatti Angeloni – le cellule metastatiche presentano nuove mutazioni genetiche rispetto al tumore di origine, che ne complicano il trattamento.
Tuttavia, una migliore comprensione dei meccanismi biologici che stanno alla base dello sviluppo consentirà di sviluppare trattamenti sempre più specifici ed efficaci».
Agendo sulla proteina Mycal2 si andrebbe ad intervenire proprio su una serie di fattori che influenzano la capacità delle formazioni neoplastiche di colonizzare nuovi organi e tessuti: da fenomeni di plasticità morfologica della cellula (determinate forme facilitano la proliferazione cellulare metastatica), a fenomeni di motilità cellulare, fino alla modificazione chimica della F- Actina, una componente della struttura cito-scheletrica della cellula.
Nuovi scenari, dunque, si aprono nella direzione dell’individuazione di una possibile terapia anti- cancro.
Ma anche una speranza, si può dire, per il mondo della ricerca italiana.
E se ancora è troppo presto per esultare sugli esiti definitivi di questo studio, di certo c’è da augurarsi che dai centri di ricerca del Bel Paese continuino ad arrivare storie di eccellenza come questa.