Brexit: breve guida al referendum – Sondaggi. Finanza. Opinioni

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Di Valentina Celi

Una attenta analisi della nostra Valentina Celi, sul Brexit. Il 23 Giugno e’ una data storica per l’Europa e per la Gran Bretagna. L’analisi tocca i punti piu’ importanti del come e del perche’ si vota, le consegueze che potrebbero accadere in Europa, nella Finanza inglese, opinioni di Euroscettici ed Europeisti, fatti  e misfatti se la Gran Bretagna dovesse uscire.

Il 20 Febbraio 2016, dopo un meeting di Governo a porte chiuse a Downing Street, Cameron annunciò alla stampa la scelta della data delle consultazioni che si terranno sia in Gran Bretagna che a Gibilterra, lanciando la campagna referendaria della Brexit.

Negli ultimi mesi la domanda è sulle bocche di tutti: Stavolta la Gran Bretagna uscirà veramente dall’Unione Europea?
La questione rimane pendente in attesa dei risultati del referendum indetto per il 23 Giugno 2016, ma nel frattempo cerchiamo di ricapitolare i complicati trascorsi che hanno portato alla convocazione alle urne, e gli ultimi sviluppi della vicenda referendaria.

 


L’INGRESSO NELLA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA
Storicamente la Gran Bretagna non ha sempre fatto parte dell’Unione Europea, ossia quell’insieme di istituzioni che prende vita nel 1957 col Trattato di Roma sotto il nome di Comunità Economica Europea, naturale evoluzione della CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio) del 1952.
Gli Stati promotori e firmatari dell’iniziativa comunitaria erano la Germania dell’Ovest, la Francia, l’Italia e gli Stati del Benelux, che intrapresero tutta una serie di riforme congiunte al fine di realizzare una zona di libero scambio tramite l’unione doganale, realizzata nel 1968.
La Gran Bretagna cominciò ad interessarsi al progetto e fece domanda per entrare a farne parte nel 1963 e poi nel 1967, ma in entrambe le occasioni la sua candidatura fu bocciata a causa del veto imposto dal Presidente francese, il Generale Charles de Gaulle, il quale adduceva come motivazioni per il suo diniego sia le peculiarità del sistema economico britannico che la mancanza di una reale piena adesione alla causa comunitaria; fu solo a seguito del cambio ai vertici delle gerarchie francesi nel 1969 che la richiesta di membership britannica fu accolta positivamente, rendendola ufficiale nel 1973, con la sua entrata nel Mercato comune.


IL REFERENDUM DEL 1975
Ma già l’anno successivo si manifestarono i primi dissensi in materia: contestando le elezioni generali dell’Ottobre 1974, il Partito Laburista guidato da Harold Wilson propose una revisione degli accordi CEE ed un referendum confermativo, per lasciar decidere alla popolazione se rimanere membri o meno del sistema comunitario.
Europeisti erano i membri del Governo Wilson (ai quali comunque fu lasciata libertà di voto, sospendendo la convenzione costituzionale della responsabilità collettiva del Gabinetto di Governo, tanto che sette di loro votarono NO), il Partito Conservatore guidato dalla Thatcher, ed i Partiti Liberale, Socialdemocratico, Progressista Unionista di Avanguardia e l’Alleanza dell’Irlanda del Nord, così come anche la maggioranza della stampa nazionale.
Euroscettici erano invece i membri del Partito Laburista (specialmente quelli più di sinistra), dell’Ulster Union, del Partito Unionista Democratico, del Partito Nazionale Scozzese, ed anche partiti non in Parlamento come il Partito Comunista ed il Fronte Nazionale.
Dopo mesi di propaganda da ambo gli schieramenti, il 5 Giugno 1975 però il voto popolare si schierò dalla parte degli europeisti, rispondendo alla domanda: “Crede che la Gran Bretagna debba restare nella Comunità Europea?” con una netta predominanza di SI (il 67,2%) e una buona affluenza alle urne (64,5%).


LA CAMPAGNA EUROSCETTICA DOPO IL 1975
Il Partito Laburista continuò la propria campagna denigratoria nei confronti delle politiche comunitarie, facendone un caposaldo del proprio programma politico, soprattutto con il rilancio delle critiche verso il Parlamento Europeo a partire dal 1977.
Quando nel 1993, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht la Comunità Economica Europea divenne l’Unione Europea, evolvendosi da unione economica ad entità sovranazionale di stampo anche politico, i Laburisti non mancarono di esprimere il proprio dissenso, specialmente in merito al funzionamento ed al ruolo preponderante della Banca Centrale Europea, ed alla decisione di procedere con l’adozione della moneta unica, l’Euro.
Altri partiti si sono dimostrati euroscettici nel corso del tempo: nel 1994 fu formato il Referendum Party da Sir James Goldsmith, che si proponeva di riproporre un referendum sull’appartenenza della Gran Bretagna all’Unione Europea, ma che fallì nell’impresa di conquistare anche un singolo seggio in Parlamento; in quegli stessi anni fu fondato anche il Partito per l’indipendenza del Regno Unito (UKIP), il quale, sebbene di matrice euroscettica, riuscì a guadagnarsi gradualmente a conquistarsi i favori degli elettori nelle elezioni europee, divenendone il primo partito per numero di eletti nel Parlamento Europeo nel 2014.


IL REFERENDUM DEL 23 GIUGNO 2016 (BREXIT)
La scelta di riproporre un referendum sulla questione europea deriva dall’impegno preso dal Partito Conservatore durante l’ultima campagna elettorale: Cameron promise che se avessero ottenuto la maggioranza, i Conservatori avrebbero negoziato migliori condizioni per la permanenza nell’Unione oltre ad indire un referendum per consultare la popolazione. Questa volontà fu trasposta nel Manifesto del Partito, poi divenuto legge tramite l’approvazione parlamentare dell’European Union Referendum Act 2015.
Il referendum fu annunciato nel Queen’s Speech del 27 Maggio 2015, e il nuovo European Union Referendum Bill 2015/’16 fu messo in agenda parlamentare; dopo una seconda lettura, il disegno di legge passò con 544 a favore e 53 contrari ( solo i membri del Partito Nazionale Scozzese vi si opposero). Nel frattempo Cameron portò avanti i negoziati con i più eminenti esponenti dell’UE, per raggiungere un’intesa a, e riproponendo la formula già usata dal Governo nel 1975, cioè la decisione di accantonare la responsabilità collettiva del Gabinetto di Governo, per lasciare libertà di scelta ai singoli ministri.


EUROSCETTICI ED EUROPEISTI
La tesi su cui si basano gli Euroscettici si lega al timore che la cessione della propria sovranità popolare all’Unione Europea (fondamentale per far sì che le norme europee abbiano forza d’azione all’interno dei singoli Stati) porti ad una perdita permanente della capacità governativa nazionale in favore di quella comunitaria, e che quindi questa pratica apporti più disagi che benefici; da questo concetto si evince che essi chiedono maggiore libertà e capacità di negoziare i propri trattati ed accordi commerciali, soprattutto in merito a questioni “calde” come migrazione, mercato e finanza, le cui regolamentazioni attualmente ricadono nella sfera d’influenza dell’UE.
Fra di essi si annoverano: Democratic Unionist Party (DUP), People Before Profit Alliance (PBP), Traditional Unionist Voice (TUV), UK Independence Party (UKIP).

Gli Europeisti invece temono che un’uscita dal sistema comunitario provochi una congiuntura economica negativa per il Regno Unito, che abdicherebbe ai privilegi derivanti dal Mercato Unico, dall’unione delle banche dati europee (soprattutto quelle riguardanti i crimini e l’Europol), mettendo a rischio la prosperità economica e commerciale del Paese, oltre al rischio effettivo di creare delle barriere fra l’economia del Regno Unito e quella dell’UE.
I partiti che si associano a questo filone di pensiero sono: Alliance Party, Green Party, Labour Party, Liberal Democrats, Plaid Cymru (Party of Wales), Scottish National Party (SNP), Sinn Féin, Social Democratic and Labour Party (SDLP) e l’Ulster Unionist Party (UUP).

Inoltre l’intero Parlamento scozzese si è recentemente espresso a favore del Sì.
Il Partito Conservatore, attualmente al Governo, ha inviato dei pamphlets informativi in ogni abitazione per sensibilizzare la popolazione verso la tematica del referendum, ed esplicitando la propria posizione come Europeista; anch’esso, come d’altronde si è verificato per tutti i partiti in Parlamento, ha deciso di non imporre la linea di partito, lasciando piena libertà di scelta ai singoli membri. Ciò porta dunque a delle significative variazioni di scelta fra personalità di spicco di uno stesso partito: ad esempio, fra i ranghi dei Conservatori, Cameron si è espresso a favore della permanenza nell’UE, mentre l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, parteggia per l’uscita.


LE OPINIONI
Un tema così scottante non ha mancato di suscitare le reazioni più disparate nei vari settori della vita pubblica e privata della Nazione, a cui si aggiungono raccomandazioni e consigli anche da varie parti del mondo.


ECONOMIA E FINANZA
Le banche, attraverso l’Associazione dei Banchieri Britannici, in particolare, hanno espresso la propria preferenza verso la permanenza nel Mercato Unico, sottolineando che, non essendoci mai stati casi di distacco dal Mercato Comune, l’incertezza del risultato non gioverebbe certo ad un’economia che dovrebbe oltretutto ricalibrarsi velocemente per mantenere lo stesso livello di competitività internazionale di cui gode ora.
In generale la stragrande maggioranza degli economisti e degli esperti di finanza, in primis Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale e Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, ritengono sia più saggio rimanere nell’UE, considerando che la procedura d’uscita si protrarrebbe per un periodo che varia dai 2 ai 7 anni, e ciò provocherebbe certamente dei danni economici e d’immagine, che si stima colpirebbero sia il ruolo predominante della City nella finanza mondiale, ma specialmente piccole e medie imprese.
A questa visione si associano anche le Agenzie di rating, che stimano che la crescita nazionale sarà messa a rischio se si deciderà per l’uscita dall’UE.


POLITICA INTERNAZIONALE
Ovviamente le opinioni dei politici europei non hanno mancato di sottolineare l’importanza della Gran Bretagna all’interno del sistema UE, come hanno fatto ad esempio il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il Premier Matteo Renzi, Presidente polacco Andrzej Dudaed, la Cancelliera tedesca Angela Merkel, il Presidente francese François Hollande, ed il Ministro delle Finanze svedese Anders Borg; il Ministro della Difesa dell’Eire, Enda Kenny, crede inoltre che l’uscita dall’UE potrebbe causare un riacutizzarsi delle tensioni al confine con l’Irlanda del Nord. Anche al di là dell’Unione Europea si sono formulate delle raccomandazioni importanti: in primis da parte del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il quale ha rimarcato come gran Bretagna ed UE si sostengano e fortifichino a vicenda, e come se la Gran Bretagna uscisse, vedrebbe ridotta la sua voce in capitolo nell’economia mondiale, cosa che diverrebbe una questione di interesse nazionale per gli Stati Uniti. A fargli eco anche i Governi cinese, giapponese, australiano, e canadese i quali si augurano che la Gran Bretagna mantenga una voce forte nelle questioni economiche, grazie proprio alla sua presenza nel Mercato comune.
Raccomandazioni europeiste sono pervenute anche dai meeting di G7, G20, WTO, FMI e NATO.
Gli Euroscettici invece giudicano un’eventuale uscita “un secondo Muro di Berlino”, come Marine Le Pen, leader francese del Front National, preconizzando un indebolimento dell’intera struttura comunitaria. Il Premier ceco invece ha preconizzato una procedura simile anche da parte del Governo di Praga, se l’uscita della Gran Bretagna avesse un esito positivo.
Anche i candidati Repubblicani statunitensi Ted Cruz e Donald Trump hanno rassicurato la Gran Bretagna in merito alla duratura partnership commerciale con gli USA, sia con sia senza l’intermediazione dell’UE.


LE CATEGORIE PROFESSIONALI E LE LETTERE APERTE AL “TIMES”
Fra le iniziative pro-UE hanno preso piede le lettere aperte al giornale “Times”, sottoscritte dai membri delle varie categorie professionali, i quali motivano la loro scelta di votare Sì al referendum incombente. Una di quelle che ha avuto più risonanza è stata la lettera coordinata dal comitato “Stronger IN”, che si batte per la permanenza in UE, e che vede le firme di più di 250 artisti e membri del mondo dello spettacolo; dal testo della lettera si evince che secondo loro: “La Gran Bretagna non solo è più forte in Europa, ma ha più immaginazione e creatività. Dalle più piccole gallerie fino ai maggiori successi di botteghino, molti di noi hanno lavorato su progetti che non avrebbero mai visto la luce senza il vitale contributo dell’UE o senza collaborazioni che scavalcano le frontiere. Da Shakespeare a Bowie, la creatività britannica ispira ed influenza il resto del mondo. Lasciare l’UE sarebbe un salto nel vuoto per milioni di persone in Gran Bretagna, che lavorano nei campi creativi dell’industria… Crediamo che essere parte dell’UE rinforzi il ruolo leader della Gran Bretagna sul palcoscenico mondiale.”
Fra i firmatari si annoverano attori come Benedict Cumberbatch, Dominic West, Sam Taylor-Johnson, Jude Law e Helena Bonham Carter, musicisti come Paloma Faith, artisti come Tracey Emin, scrittori come John Le Carré e Carol Ann Duffy, e designer come Vivienne Westwood.
Ma questa lettera non è stata l’unica del suo genere: al Times sono pervenute anche quelle dei Professionisti nell’ambito della Medicina, con circa 200 firme, della Royal Society (la più antica società riconosciuta dalla Corona per scienza e ricerca) con 150 firme (fra cui quella di Stephen Hawking), dei Rettori universitari con 100 firme, degli Economisti con 279 firme, degli Avvocati con 300 firme, e degli Storici con 300 firme.

Non mancano tuttavia di farsi sentire voci discordanti, di coloro che invece si fanno promotori degli ideali dietro al Brexit, come ad esempio gli attori Michael Caine, Elizabeth Hurley e Dame Joan Collins, i musicisti Roger Daltry, Noel Gallagher e Bryan Adams, lo scrittore Irvine Welsh, lo sceneggiatore e produttore Julian Fellowes e gli ex giocatori di calcio Sol Campbell e di cricket Ian Botham.
Qualcuno ancora si dichiara neutrale, come ad esempio il Gruppo Bancario Lloyds, il Gruppo McLaren e le grosse catene di supermercati Tesco, Sainsbury’s e Morrisons, oltre che ad organizzazioni come la Chiesa d’Inghilterra.


GLI ACCORDI DI CAMERON
È da notare che la Gran Bretagna attualmente non aderisce a tutti i prescritti europei (basti pensare all’Eurozona), bensì molto spesso si è rifiutata di ratificare accordi che non si confacevano alle proprie politiche nazionali. Nonostante la paura manifestata dal Presidente francese Hollande, che l’UE diventi “un’Unione à la carte”, il Premier Cameron ha preso accordi con Bruxelles affinché l’eventuale permanenza della Gran Bretagna sia ancora più fruttuosa e vantaggiosa.
I punti principali dell’accordo riguardano:
Assegni per i minori – I lavoratori migranti potranno ancora mandare gli assegni di mantenimento nei loro Paesi d’origine, ma con importi che si riferiscano al tenore di vita del Paese del ricevente, diminuendo quindi di molto la spesa (Cameron inizialmente voleva abolire questa pratica);
Sussidi pubblici per i migranti – Coloro che arrivano in Gran Bretagna dai Paesi UE non potranno avvalersi subito di contributi e sussidi statali, ma acquisiranno tali diritti gradualmente col passare degli anni di permanenza, ma i valori sono ancora da decidersi;
Mantenimento della Sterlina – Cameron ha assicurato che la Gran Bretagna non entrerà mai nell’Eurozona, e con questo accordo ha stabilito che non dovranno esserci discriminazioni negli affari a causa della differenza di valuta. Inoltre tutti i fondi stanziati per stabilizzare i Paesi dell’Eurozona a livello economico dovranno essere rimborsati.
Protezione per la City di Londra – Si impone la salvaguardia del centro finanziario e dell’industria britannico rispetto ad eventuali future regolazioni da parte dell’UE.
Salvaguardia degli interessi nazionali – Un altro cambio nel Trattato includerà il chiaro impegno della Gran Bretagna nel salvaguardare la propria sovranità nazionale dalle ingerenze dell’UE, grazie all’introduzione di un sistema di “cartellini rossi”, che faciliteranno il blocco di leggi sgradite. Se almeno il 55% dei parlamentari britannici all’UE pongono delle obiezioni ad una legge, questa dovrà essere ripensata, sebbene questo non sia un veto vero e proprio, dato che il Parlamento potrà comunque procedere con l’iter legislativo dopo aver risposto alle obiezioni sollevate.


I SONDAGGI
Al momento i sondaggi indicano ben altri numeri rispetto a quelli usciti dalle consultazioni del 1975: nei giorni scorsi, secondo il Financial Times, il 46% propendeva per il restare mentre il 41% per l’abbandonare l’Unione, col resto di indecisi o neutrali. Ciò evidenzia dei forti contrasti nell’opinione pubblica a meno di un mese dalla data prescelta per il referendum, con gli indecisi che potrebbero effettivamente fare la differenza.
Inoltre ad un ulteriore sondaggio, sempre del Financial Times, nel quale si chiedeva “L’Unione Europea si frantumerà se la Gran Bretagna dovesse uscire?”, il 49% ha risposto “No, ma altri Stai negozieranno accordi diversificati”, il 31% ha risposto “Sì”, mentre solo per il 20% “No, gli Stati si uniranno ancora di più”.
È da sottolineare che il referendum è una consultazione popolare, dunque il suo risultato non ha un valore giuridico vincolante, sebbene appaia chiaro che qualsiasi Governo che decidesse di andare contro la volontà popolare chiaramente espressa, andrebbe incontro ad un vero e proprio suicidio politico. Dunque non resta che restare sintonizzati e seguire i numerosi di battiti che si susseguiranno nella prossime settimane, per comprendere ancora meglio cosa accadrà (in un caso o nell’altro) dopo il 23 Giugno.