Brexit: le 10 domande che tutti si pongono

0
2817

 Dal 23 Giugno, i timori (o le speranze) dei cittadini europei si sono avverati prendendo le sembianze della famigerata Brexit – l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea – fatto unico e senza precedenti, e che dunque dà adito ad innumerevoli dubbi e questioni al momento irrisolte. Di certo vi è il dato che un simile divorzio non avverrà con immediatezza, perché si procederà secondo i dettami dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che vi citiamo nella sua formulazione completa: «L’articolo 50 del trattato sull’Unione europea prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall’Unione europea (UE).

Il paese dell’UE che decide di recedere, deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese. Tale accordo è concluso a nome dell’Unione europea (UE) dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo. I trattati cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso.

Il Consiglio può decidere di prolungare tale termine. Qualsiasi Stato uscito dall’Unione può chiedere di aderirvi nuovamente, presentando una nuova procedura di adesione.» Anche i meno avvezzi a trattare con termini giuridici, noteranno come il testo sia stato lasciato volutamente vago, e dunque aperto ad un’applicazione “personalizzata”, per meglio adattarsi allo stato attuale del Paese richiedente il recesso, o forse perché (meno pragmaticamente) si credeva che il lasciare l’UE non sarebbe stata che un’ipotesi remota. L’articolo però specifica bene che il recesso è “volontario ed unilaterale”, ossia sta al Paese in questione il dovere di invocare l’applicazione dell’articolo stesso, per dare il via alla procedura di fine della sua membership.

Attualmente l’applicazione di tale articolo non è stata ancora richiesta dalla Gran Bretagna, la quale, ad una settimana di distanza dal voto referendario, sembra prendere tempo prima di intraprendere una strada che pare già definitiva. Questo atteggiamento sta causando le ire di Bruxelles, a cui preme realizzare la procedura con tempi più brevi possibili, considerando che serviranno almeno due anni per completare trattative e accordi fra l’UE e la Gran Bretagna, e che si stima che a quest’ultima servirà una decade per rinegoziare con ogni Paese membro tutti gli accordi commerciali che ora ricadono sotto la competenza europea.

Il futuro politico ed economico del Paese appare incerto, ed in questi giorni sia i mercati, sia la valuta, ne hanno risentito parecchio; pertanto abbiamo cercato di portare maggiore chiarezza, sintetizzando in dieci domande gli interrogativi più critici di quella che si preannuncia come una transizione sofferta da membro dell’Unione Europea a Nazione completamente indipendente.

 

1) Quali sono i trascorsi fra UE e Regno Unito? I rapporti fra Regno Unito ed UE non sono stati idilliaci, soprattutto agli inizi. L’antenata dell’Unione Europea, la CEE è stata fondata ufficialmente con il Trattato di Roma del 1957, ma il Regno Unito non fu fra i membri signatari, in quanto aleggiava molto scetticismo intorno al progetto di un Mercato Unico. Successivamente, vedendone il successo, la Gran Bretagna fece domanda per entrarne a far parte, ma pur rispettando tutti i requisiti necessari per l’ammissione, subì per ben due volte il veto della Francia di De Gaulle; diverrà membro insieme ad Irlanda e Danimarca solo nel 1973. Anche quella decisione fu però contestata in seno al Parlamento nazionale, che invocò un referendum nel 1975, in cui una nettissima maggioranza votò per il Remain. Fin da subito però la Gran Bretagna mise in chiaro che non si sarebbe fatta coinvolgere dall’euforia europeista, ma che avrebbe valutato cautamente le singole decisioni di Bruxelles, astenendosi qualora esse andassero contro le proprie politiche nazionali: una delle ragioni per cui, ad esempio, essa ha mantenuto la Sterlina invece di adottare l’Euro, la moneta unica.

2) Perchè si è avuto un nuovo referendum sulla Brexit? Dopo anni di malcontenti, e una sempre più crescente fazione di euroscettici fra l’opinione pubblica ed i politici nazionali, sembrò logico che nel 2015 il Conservatore David Cameron inserisse nel proprio programma per la rielezione la possibilità di affidare le sorti della membership britannica ad un referendum; promessa che egli ha mantenuto indicendo il referendum all’inizio di quest’anno.

3) Qual è il peso politico del referendum sulla Brexit? Il referendum indetto dal Premier Cameron è una consultazione dal valore meramente consultivo e non vincolante. Semplificando ulteriormente, ciò significa che in realtà, a livello giuridico, la Gran Bretagna non è affatto obbligata ad intavolare le trattative per uscire dall’UE, qualora il Parlamento decidesse di non dar seguito al voto popolare; ovviamente, però, se ciò si verificasse, la popolazione si sentirebbe tradita dai propri eletti e verrebbe meno il vincolo di fiducia che lega i cittadini ai governanti, minando la base stessa del principio di sovranità popolare.

4) Qual è la procedura per l’uscita dall’UE? Fino al 2008 la possibilità di dissociarsi dall’Unione Europea non era affatto contemplata nei trattati; soltanto nel Dicembre 2009, con la faticosa entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si è ottenuto un passo in avanti nella disciplina concernente il diritto dell’UE, con l’enunciato dell’articolo 50, che introduce appunto una simile eventualità. Pertanto la Gran Bretagna si appresta ad essere il primo Stato ad usufruire del sopra menzionato articolo, richiedendo la recessione del proprio status di membro.

5) Quando si darà inizio alla Brexit? Nelle giornate del 28 e 29 Giugno si e’ tenuto, un vertice preparatorio ma informale fra i 27 emissari degli Stati membri per consultarsi congiuntamente sui risvolti e sui possibili futuri scenari determinati dal voto britannico; più che un meeting decisionale, è stata definita «Una necessaria riflessione», dal presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk. Ci si aspetta comunque che, entro la prossima settimana, il premier David Cameron raggiunga i suoi colleghi a Bruxelles per dare l’annuncio ufficiale dell’inizio delle procedure di uscita dall’Unione, invocando il ricorso all’articolo 50 ex Trattato di Lisbona.

6) Quando cominceranno le procedure in Gran Bretagna? La Brexit sarà un processo graduale, e tutto patirà dal momento in cui il Parlamento britannico si riunirà per votare la ratifica giuridica del risultato del voto popolare; ma nonostante le pressioni di Bruxelles, che vorrebbe accelerare la procedura, a distanza di una settimana dal referendum, ancora non è stata stabilita la data in cui il Parlamento deciderà il da farsi. Questa mancanza di prontezza è dettata dalla titubanza con cui i politici hanno accolto la notizia della Brexit, e dal fatto che si è calcolato che la maggioranza dei parlamentari in realtà era a favore del Remain, ma soprattutto perché nel Trattato di Lisbona non è specificato entro quanto tempo occorra far appello all’articolo 50, e quindi i parlamentari vorrebbero attendere l’uscita di scena del dimissionario Cameron, per presentarsi davanti al Consiglio Europeo con un Premier più forte nei consensi. Dopo la votazione del Parlamento, bisognerà informare ufficialmente il Consiglio Europeo, e si inizieranno i negoziati sia con l’Unione Europea, sia coi singoli Paesi, per creare accordi e trattati che possano rimpiazzare quelli già esistenti a marchio UE.

7) Quanto dureranno questi negoziati? A meno che non vengano successivamente richieste delle proroghe temporali per risolvere delle questioni in sospeso, secondo l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, i negoziati devono essere esperiti in un arco di tempo di massimo due anni, a decorrere dalla presentazione della richiesta formale di recesso dal ruolo di membro dell’UE.

8) Come funzioneranno i negoziati con l’UE? I negoziati sulla Brexit avranno luogo in seno alla Commissione UE, su mandato del Consiglio Europeo, e fino alla fine del processo negoziale, la Gran Bretagna continuerà comunque ad essere a tutti gli effetti un membro dell’UE, con la differenza che, pur avendo diritto di voto, non sarà inclusa quando si parlerà di prendere decisioni riguardo la Brexit: in quei casi, gli euro parlamentari britannici, fungeranno da “osservatori”. Ed una volta ultimati questi negoziati, si avranno delle votazioni sia nel Consiglio Europeo, in cui è richiesta una maggioranza qualificata, sia nel Parlamento Europeo, che deve apporre il suo consenso per convalidarne il valore giuridico, e decretare la fine definitiva dell’esperienza britannica come membro dell’Unione Europea.

9) Cosa succederà se i negoziati non terminano entro 2 anni? Se malauguratamente l’UE e la Gran Bretagna si trovassero in impasse, e non fosse possibile raggiungere un accordo entro il periodo di due anni concesso dall’articolo 50, si dovrà decidere se dietro decisione unanime dei 27 Stati membri, sarà garantita una proroga per terminare pienamente i negoziati, o se nonostante tutto, allo scadere del termine prefissato, il Regno Unito sarà automaticamente fuori dall’Unione.

10) Cosa avverrà dopo i negoziati? Una volta terminati i negoziati ed attuata definitivamente l’uscita ufficiale del Regno Unito dall’Unione, al governo britannico toccherà il laborioso onere di rielaborare, riscrivere e rinegoziare i rapporti con ogni singolo Stato membro. E considerando la vastità e la quantità delle materie di competenza dell’Unione Europea, (dall’immigrazione alle esportazioni, dai tassi sui mutui e i prestiti fino alle forniture energetiche), innumerevoli settori del commercio, dell’industria e dell’economia britannici che dovranno necessariamente essere ridiscussi e ratificati attraverso la creazione di nuovi accordi bilaterali, gli esperti hanno calcolato che occorreranno dagli 8 ai 10 anni per portare a termine il tutto, e riportare la situazione alla normalità.

Quindi, facendo un po’ il punto della situazione, dopo una settimana di caos mediatico, ma soprattutto politico-istituzionale, in attesa che il Parlamento britannico voti per confermare i risultati del referendum, e che si invochi l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, cosa sta effettivamente succedendo in Gran Bretagna? A livello economico, la Sterlina pare essere in caduta libera rispetto al Dollaro, a livelli mai più visti dopo il 1985, ed insieme alle Borse europee in continuo calo fin dall’annuncio della vittoria del “Leave”, destano preoccupazioni negli investitori e nei consumatori.

A livello politico-internazionale, serpeggia il malcontento nelle cancellerie europee, ma anche nei Parlamenti nazionali di Irlanda del Nord e Scozia: in particolare, i rappresentanti dell’Irlanda del Nord hanno lamentato come il Governo britannico abbia rinunciato a rappresentarne il volere, e Martin Mc Guinness, leader del Partito repubblicano di sinistra Sinn Féin, ha provocatoriamente aperto la strada ad un referendum che porti alla riunificazione dell’isola dopo quasi un secolo di separazione; in Scozia, la Prima ministra Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party (SNP), ha intenzione di porre il veto alla Brexit grazie ai voti dei deputati di cui è a capo, e nel contempo vorrebbe lanciare un potenziale nuovo referendum sulla indipendenza scozzese, visto che nel suo Stato si è votato massicciamente per il “Remain”.

A livello politico-nazionale, il premier Cameron ha annunciato le dimissioni la mattina successiva al referendum, nonostante avesse ricevuto un pubblico endorsement da parte di circa 90 Parlamentari “Remain”, chiarendo che però manterrà la carica almeno fino a Settembre, mese nel quale vi sarà la Convention di Partito; e proprio dopo quella data il Parlamento vorrebbe votare sul referendum, lasciando che i toni infuocati di queste ultime due settimane si raffreddino gradualmente, e che la Nazione possa contare su un nuovo Primo Ministro.

Le dimissioni del Premier lasciano dunque aperto un interrogativo di fondamentale importanza: chi guiderà la Gran Bretagna in questi anni di transizione? Ad oggi i candidati più papabili sono l’ex Sindaco di Londra, Boris Johnson ( molto favorito) , o il Segretario di Stato, Theresa May, però non si escludono colpi di scena in un momento in cui lo scenario politico è assolutamente in subbuglio.


Brexit una settimana dopo – alcuni possibili scenari

Brexit una settimana dopo - alcuni possibili scenari

( i punti di Elena Zunino) E’ già trascorsa una settimana dalla data – certamente storica – della … READ MORE