Brexit una settimana dopo – alcuni possibili scenari

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( i punti di Elena Zunino) E’ già trascorsa una settimana dalla data – certamente storica – della Brexit. Il Regno Unito ha deciso di uscire dall’Unione Europea: non c’è dubbio.

Cameron ha parlato chiaro: l’esito referendario verrà rispettato e non ci sarà un secondo referendum – com’è stato chiesto dai milioni di firmatari della petizione per una nuova consultazione.

Sadiq Khan – neosindaco di Londra – respinge l’ipotesi di un’indipendenza della capitale (che ha votato a netta maggioranza per il Remain), ma apre alla possibilità di una maggiore autonomia londinese su temi strategici per il futuro.

E adesso? Cosa accadrà? Mentre i vertici europei si sono già riuniti e le borse hanno reagito come tutti si aspettavano (con gravi turbolenze finanziarie e minacce di spirali speculative), rimane ignoto ciò che – concretamente – sarà il post-Brexit.

Cameron – in perfetto stile british – non ha esitato un solo minuto a rassegnare le dimissioni. Sua, del resto, la responsabilità di aver indetto un referendum su un tema di portata globale per questioni di politica interna (in sintesi: per rafforzare la propria leadership).

Ma divisioni travagliano anche il Labour Party, che si sta rivoltando contro il proprio leader Jeremy Corbin. Capo di imputazione: aver condotto una campagna troppo «fredda» per il Remain.
A complicare il quadro sono giunte le dichiarazioni della First Minister scozzese, Nicola Sturgeon, che ha manifestato la volontà di avviare trattative immediate per far rimanere la Scozia nell’UE.

Questione complicata, però, non solo perché l’ipotesi di una Scozia indipendente era già stata cassata nel 2014 da un referendum, ma anche perché – anche rimanendo nell’UE – la Scozia non sarebbe pronta ad abbandonare la sterlina e ad entrare nell’Eurozona.

Ora che il Regno Unito ha ottenuto la sua indipendenza (come ha dichiarato il leader dell’UKIP Nigel Farage) sarà anche il turno della Scozia? Vada come vada, la frattura elettorale nord-sud è stata chiarissima. Mentre lnghilterra e Galles sono risultate a favore del Leave, Scozia e Irlanda del Nord si sono pronunciate per il Remain.

E altrettanto profonda la spaccatura tra voto di città e periferie. Per non parlare dell’abisso generazionale tra giovani e anziani – con differenze percentuali che parlano di due modi di percepire la realtà drammaticamente distanti.
Mentre sulla scia dell’esito elettorale si moltiplicano gli episodi di violenza xenofoba, l’incognita sul futuro dell’UK pesa e non cessa di creare instabilità – con colpi e contraccolpi dei mercati e timori di reazioni a catena su scala globale.

I difensori del Leave – tra cui spicca l’ex sindaco di Londra Boris Johnson – si dicono soddisfatti dell’esito elettorale: ecco che finalmente la Gran Bretagna si libera dei lacci della burocrazia europea e può ripristinare quell’autonomia finanziaria e commerciale per tornare ad essere grande sullo scacchiere globale. Ciò detto, nessuno sa come avverrà il distacco dall’UE. Quale procedura – e con che tempi – verrà seguita: non esistono precedenti.

Mentre Bruxelles spinge per un divorzio rapido (per minimizzare l’instabilità economica e politica generata dall’incertezza), Londra tira il freno a mano. Molti Leavers si dicono pentiti (#Bregret) e – in ogni caso – fino ad Ottobre, quando Cameron verrà sostituito da un nuovo Premier, nessuna scelta definitiva sarà presa.

Intanto, ecco alcuni degli scenari possibili:

*Il Parlamento Britannico ratifica l’esito del referendum e notifica all’Ue la volontà di avviare formalmente la procedura di uscita. Si attiva l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola l’«uscita volontaria» di uno stato membro dall’Ue. Dal momento dell’attivazione dell’articolo 50, partirebbero delle trattative per rinegoziare le basi giuridiche ed economiche dei rapporti tra Regno Unito e Unione Europea. La durata massima delle trattative sarebbe di due anni. Problema: l’art. 50 è molto vago e non è mai stato messo in pratica. L’uscita dell’UK costituirebbe il primo caso dalla nascita dell’UE.

*Il Parlamento Britannico non ratifica l’esito referendario. Non è uno scenario impossibile, vista la inflessibile volontà scozzese di rimanere nell’UE. Ignorare il veto scozzese potrebbe portare a una grave frattura con Edinburgo, ma tradire l’esito elettorale (pro-Leave) creerebbe grandi problemi di politica interna. Ciò detto, la natura del referendum era puramente consultiva (dunque non vincolante) e il Parlamento avrebbe facoltà di ignorare la volontà di 17 milioni di elettori pro-Leave. Ma si sa: la Gran Bretagna rappresenta la culla storica del moderno stato liberal-democratico. Ignorare o minimizzare la volontà referendaria non pare una opzione percorribile. Il nodo con la Scozia, però, rimane scoperto. E potrebbe portare ulteriori problemi.

*Il Regno Unito ratifica ma non notifica formalmente – tramite art. 50 – la volontà di uscita dall’UE. Potrebbe limitarsi ad usare l’esito referendario come leva politica per migliorare (ulteriormente) il proprio status di membro UE. Peccato che Cameron avesse già concluso delle trattative del genere in febbraio e l’esito del referendum abbia annullato gli effetti di tali accordi. In più, l’asse Merkel-Hollande ha già chiarito che non esiste possibilità di trattativa senza notifica ufficiale: «no negotiation without notification».

*Il Regno Unito notifica formalmente la volontà di uscire dall’UE e – in tempi rapidi – esce dall’UE. Un divorzio netto e veloce – insomma – senza ulteriori trattative. Con il pericolo di un contagio euroscettico. Il peso politico lasciato dall’UK potrebbe essere guadagnato a Sud – da Roma – e il Regno Unito potrebbe tornare a rafforzare la sua relazione transatlantica con gli USA.

*Il Regno Unito esce dall’UE ma rimane agganciato all’Area Economica Europea. Verrebbe dunque adottato il «modello norvegese». Ma gli altri paesi accetteranno che all’UK siano concessi solo i vantaggi dell’integrazione europea? C’è chi non esclude lo scenario apocalittico di un effetto a catena: Olanda e Austria potrebbero essere i prossimi paesi ad uscire, seguendo l’esempio britannico, e a decretare la fine del sogno dell’Europa Unita.

Per concludere, lo scenario di un nuovo referendum o di un «ripensamento» è altamente improbabile. Cameron ha esplicitamente escluso questa ipotesi. Allo stesso tempo, ha fatto intendere che da parte britannica non c’ alcuna fretta ad invocare l’art. 50. Anche perché – è piuttosto chiaro – nessuno ha idea di come gestire il post-Brexit. Ma ormai l’indipendence day è arrivato. Piaccia o non piaccia, la Brexit presto diventerà realtà. E come accade nei momenti di grande tensione, il consiglio migliore rimane: Keep calm and Carry on!