Londra – di Chiara Fiorillo
Il bilinguismo è un’arma contro la demenza senile causata dal morbo di Alzheimer: è uno studio coordinato da Daniela Perani, docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e direttrice dell’Unità di Neuroimaging Funzionale presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, a rivelarlo.
Il risultato della ricerca ha dimostrato, infatti, che le strutture celebrali frontali di coloro che parlano due lingue presentano una maggiore attività e che chi usa in maniera costante due o più lingue, ha più possibilità di rallentare di anni la manifestazione della demenza senile.
I ricercatori hanno anche scoperto che gli effetti benefici del bilinguismo aumentano proporzionalmente all’utilizzo delle due lingue: non basta, infatti, solo conoscerle, ma bisogna praticarle ogni giorno per ottenere benefici.
Bilinguismo, hanno sottolineato gli stessi studiosi, non significa per forza conoscere, oltre la propria lingua, una lingua straniera: anche il dialetto della propria zona di provenienza può essere infatti considerato, a tutti gli effetti, una seconda lingua.
Un ulteriore studio delle Università McGill e Oxford, diretto da Denise Klein, aveva già dimostrato che l’apprendimento di una lingua straniera dopo la prima infanzia stimola la crescita dei neuroni e delle loro connessioni. Secondo gli scienziati, la difficoltà di alcune persone ad apprendere una seconda lingua da adulti può essere dovuta alla struttura del loro cervello, che non si è sviluppato come quello di chi ha da sempre parlato più di una lingua.
Il linguista Noam Chomsky, autore della teoria grammatica generativo – trasformazionale, aveva già rivoluzionato la scienza del linguaggio negli anni ’50.
Con la sua opera Strutture della sintassi, lo studioso americano aveva affermato che ogni lingua è composta di frasi nucleari e frasi non-nucleari, che nascono dalla trasformazione delle prime. Secondo Chomsky, il linguaggio verbale presenta un livello astratto, cioè la grammatica della lingua parlata, e uno concreto, che consiste nella produzione linguistica di chi parla.
In una sua opera successiva, Aspetti della teoria della sintassi, il linguista aveva sostituito la distinzione tra frasi nucleari e frasi non-nucleari con quella tra una struttura profonda, cioè l’organizzazione dell’espressione linguistica, e una struttura superficiale, che costituisce l’organizzazione della frase pronunciata.
Alcune frasi, infatti, possono avere un significato ambiguo, che può variare a seconda del soggetto che compie l’azione. La frase “La paura dei nemici era grande”, ad esempio, cambia significato a seconda che siano i nemici ad avere o ad incutere paura: pronunciata così, la frase rispecchia la sua struttura superficiale, ma se si considerano le sue strutture profonde, essa può cambiare significato. Se si afferma, infatti, che “I nemici avevano paura e la paura era grande”, si scardina la frase nelle sue strutture più profonde e si può comprendere meglio il suo significato.
Conoscere la differenza tra strutture superficiali e strutture profonde di una lingua, permette, secondo Chomsky, un “uso creativo” del linguaggio. La competenza linguistica di una persona, secondo lo studioso americano, va oltre i dati esterni che la persona ha a disposizione nell’imparare la stessa lingua. Pur avendo appreso un numero limitato di strutture sintattiche e frasi nella propria lingua, infatti, il soggetto parlante può formularne molte di più. La ripetizione di alcune frasi può inoltre portare a un miglioramento e a uno sviluppo maggiore delle proprie abilità linguistiche.
Secondo Chomsky, infine, la competenza linguistica di una persona è la dimostrazione dell’esistenza, dentro ognuno, di strutture linguistiche innate e universali che permettono di poter parlare e apprendere anche altre lingue.
Lo studio del linguaggio e dei suoi benefici, dunque, partito da Chomsky più di mezzo secolo fa, è ancora in continuo sviluppo ed è utile per arricchire sempre di più il panorama glottologico mondiale.