(di Gianmaria Recanatini) L’8 giugno 2017, giorno in cui i cittadini britannici si recheranno a seggi, potrebbe essere ricordato come il giorno che sigilla il trionfo della premier Theresa May e del partito conservatore al Governo o passare alla storia come un colpo di scena che porta alla vittoria il partito laburista di Jeremy Corbyn.
La seconda ipotesi sembrava pura fantascienza fino a pochi giorni fa, ma la campagna elettorale in Gran Bretagna non sta seguendo il copione previsto. Senza contare che il nuovo attacco terroristico a Londra segna un ulteriore fattore di incertezza e imprevedibilità.
Quando la May, il mese scorso, aveva indetto elezioni anticipate – il voto non era previsto fino al 2020 – era sembrata una mossa sorprendente, ma astuta. I sondaggi erano tutti a suo favore, sottolineando la sua popolarità di leader considerata forte e competente, mentre il partito laburista era distaccato di venti punti, penalizzato da contrasti interni e dalle posizioni oltranziste di Corbyn, più a sinistra della maggioranza dei suoi deputati.
Ora, invece, tutti i sondaggi rilevano un imprevisto recupero dell’opposizione laburista, distaccata di pochi punti dai Tories, mentre un sondaggio di YouGov prevede addirittura un esito incerto del voto, che non consentirebbe a nessun partito di formare un governo stabile e potrebbe portare a una coalizione o a un governo di minoranza guidato dai laburisti. La prospettiva di un cosiddetto “hung Parliament”, con tutta l’incertezza che questo comporta alla vigilia dell’avvio dei cruciali negoziati con Bruxelles sull’uscita dalla Ue, ha fatto precipitare la sterlina e causato costernazione nei ranghi dei Tories.
Il sistema elettorale maggioritario ad un turno ha garantito, per gran parte della storia britannica, governi monopartitici, favorendo così l’accountability e l’alternanza. I sei principali partiti, che, secondo i sondaggi, insieme raccolgono potenzialmente il 95% dei voti, sono i Conservatori (Gruppo ECR), i Laburisti (Gruppo S&D), i Liberaldemocratici (Gruppo ALDE), il Partito Indipendentista britannico (UKIP, Gruppo EFDD), il Partito Nazionalista Scozzese (SNP, Gruppo Greens/EFA) e i Verdi (Gruppo Greens/EFA).
La posizione del prossimo governo britannico non solo avrà un grande impatto sulle negoziazioni con l’UE, ma avrà anche un ruolo nella ridefinizione del panorama istituzionale dell’UE e del Regno unito. Finché l’accordo non sarà raggiunto, firmato e ratificato, il Regno unito manterrà due agenzie europee (EMA, EBA), 73 Eurodeputati (20 S&D, 21 ECR, 1 ALDE, 1 GUE-NGL, 6 Greens-EFA, 20 EFDD, 1 ENF, 3 NI) e un Commissario (Julian King, indipendente).
La redistribuzione del seggi potrebbe ridefinire gli equilibri di potere all’interno del Parlamento europeo, poiché il grouppo S&D perderebbe terreno rispetto al grouppo EPP (che non include più nessun Eurodeputato britannico dopo il divorzio di Cameron e l’ingresso di quest’ultimo nel gruppo ECR). Inoltre, nonostante il Regno unito goda di alcuni opt-outs in ambito di migrazione e affari interni UE, la sua uscita dall’UE corrisponderebbe alla partenza del Commissario King, attualmente a capo dell’Unione della sicurezza, il che avrebbe importanti ripercussioni su tematiche quali la lotta al terrorismo e al traffico illegale.
Nel programma elettorale dei Conservatori la questione migranti appare 28 volte. I Conservatori promettono che ridurranno e controlleranno l’immigrazione abbassando il “livello di immigrazione netta a decine di migliaia” , “invece che centinaia di migliaia come abbiamo visto negli ultimi vent’anni” , ma senza danneggiare l’economia, in quanto sono previsti “molti visti per i lavoratori dei settori strategicamente importanti, come le digital technologies, senza nulla aggiungere all’immigrazione netta totale” .
I Conservatori sono quindi aperti ai migranti qualificati, ma con un costo per datori di lavoro e famiglie: l’Immigration Skills Charge verrà raddoppiato a £2,000 l’anno per le aziende che assumono lavoratori stranieri e la soglia reddituale per le persone che intendono sponsorizzare migranti per visti familiari verrà aumentata così come l’Immigration Health Surcharge. Inoltre, dopo il referendum sulla Brexit, la Gran Bretagna dovrà gestire anche gli “euromigranti”, e cioè i cittadini dei paesi appartenenti all’UE.
I Conservatori propongono di “ridurre e controllare il numero di persone che arrivano in Gran Bretagna dall’Unione Europea, pur sempre attraendo i lavoratori qualificati di cui l’economia britannica ha bisogno”.
Infine, i Conservatori propongono una politica di integrazione in una società multiculturale. Sulla questione della Brexit e delle relazioni con l’UE, i Conservatori preferiscono “una calma e ordinata uscita dall’UE” , ma continuano “a credere che nessun accordo sia meglio di un cattivo accodo per l’UK”.
La preoccupazione principale resta il commercio: i Conservatori “vogliono negoziare una nuova profonda e speciale partnership con l’UE, che premetta il libero scambio tra la Gran Bretagna e gli stati membri dell’UK” . Nel proprio manifesto elettorale, il partito Laburista mostra una visione più aperta sia sull’immigrazione che sull’UE.
Tuttavia, anche i Laburisti legano l’immigrazione a specifici bisogni del mercato del lavoro britannico, pur dichiarando che “agiremo in modo deciso per porre termine allo sfruttamento del lavoro migrante che peggiora le condizioni di lavoro e i salari dei lavoratori”.
Infatti, i Laburisti riconoscono “il contributo economico e sociale degli immigrati. Sia il settore privato che quello pubblico dipendono dagli immigrati. Non denigreremo questi lavoratori. Noi apprezziamo il loro contributo, incluse le tasse che versano” .
Inoltre, i Laburisti provano a differenziarsi dai Conservatori affermando “l’orgogliosa tradizione Britannica di onorare lo spirito del diritto internazionale e i nostri obblighi morali accogliendo la nostra giusta quota di rifugiati” .
Per ciò che concerne la questione dei cittadini europei, i Laburisti propongono di “garantire immediatamente i diritti esistenti per tutti i cittadini dell’UE che vivono in Gran Bretagna e di assicurare i medesimi diritti anche ai cittadini britannici che hanno deciso di vivere in paesi dell’UE”.
Al contrario dei Conservatori, i Laburisti pensano che “uscire dall’UE senza nessun accordo sia il peggior possibile accordo per la Gran Bretagna” .
Quindi propongono di negoziare un nuovo accordo con l’UE che metta al primo posto il lavoro e l’economia, ma di continuare a lavorare con l’UE su questioni come il cambiamento climatico, la crisi dei rifugiati e la lotta al terrorismo.
In questi ultimi giorni di campagna elettorale la May è tornata al contrattacco per recuperare il terreno perduto. Sta puntando soprattutto su Brexit, che definisce non un rischio, ma «una grande opportunità per la Gran Bretagna».
La premier si presenta come l’unica leader con le competenze, il piano strategico e la forza negoziale per trattare con la Ue. Proprio su Brexit e immigrazione legata a doppio filo al terrorismo si gioca la fase cruciale del duello tra Conservatori e Laburisti.
Per i oltre 600 mila nostri connazionali che vivono e lavorano nel Regno Unito, come la Brexit , anche queste elezioni formeranno un punto di svolta per le loro vite. “La Brexit è stata una perdita per tutti, britannici e non – ma per i British di più, molto di più”, sostiene Ivana Bartoletti, attivista del Labour e dipendente del National Health Service, il servizio sanitario nazionale. “Ho consumato le scarpe nella campagna referendaria, andando in giro porta a porta e a dibattiti per convincere la gente che, nel mondo globalizzato in cui viviamo, la Gran Bretagna è più forte in Europa che fuori.
E una cosa posso dirla con certezza: Theresa May non sta attuando la volontà popolare, ma la sta interpretando. I motivi che hanno portato al voto sono diversi: c’è chi ha votato per avere più soldi per la sanità, chi ha scelto di uscire per avere meno immigrati.
C’è chi ha fatto una scelta da sinistra, e ci sono molti dai paesi del Commonwealth che sono stati persuasi dall’idea che avere meno polacchi significa avere più indiani”. L’opinione generale tra i nostri conterranei, in vista delle elezioni di dopo domani, sembra allinearsi al manifesto Laburista per ovvie ragioni di convenienza e di volontà a proseguire le proprie esperienze lavorative e di vita nel Regno Unito .
Certo è che se le si guarda dall’interno, con occhi più British diciamo, il paese sembra insofferente all’idea di un dietro-front in materia Ue e che quindi sia più propenso a ricercare in se stesso un leader che lo possa guidare in questa difficile quanto deprecabile transizione.