Londra ( l’attenta analisi di Gianmaria Recanatini ) L’Unione Europea e Regno Unito hanno raggiunto un primo accordo sulle prerogative del negoziato e sui tempistiche che dovrà seguire.
Lo ha annunciato al termine della prima giornata di incontri politici a Bruxelles il capo negoziatore Michel Barnier, in una conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato per l’uscita del Regno Unito, David Davis.
Il negoziato sarà organizzato attraverso quattro sessioni, una al mese della durata di una settimana, tra il 17 luglio e il 9 ottobre, a livello dei responsabili del negoziato, ovvero gli stessi Barnier e Davis, mentre i gruppi di lavoro affronteranno le diverse problematiche, dai diritti dei cittadini agli accordi finanziari e a tutte le “questioni nate dalla separazione”.
“Nel momento in cui avremo fatto progressi sufficienti e concreti” in questa prima fase, ha assicurato l’ex commissario francese, “sarò il primo a raccomandare al Consiglio europeo di aprire in parallelo il negoziato sulle future relazioni, che dovrà prolungarsi oltre il ritiro dei britannici dalla Ue”. Mentre il “ministro” per la Brexit, da parte sua, ha sottolineato come dare al negoziato una struttura solida dia buone basi alle discussioni.
Davis ha quindi spiegato come la questione irlandese, la necessità di evitare il risorgere di una frontiera fisica tra l’Eire e l’Irlanda del Nord dopo la Brexit e di evitare di danneggiare gli accordi del Venerdì Santo, “ha preso la maggior parte del tempo” durante l’incontro di oggi. “E’ un problema tecnicamente difficile”, ma “è senza dubbio in cima alle nostre priorità”.
Ma la prima sfida da affrontare, su cui le parti si sono trovate d’accordo, deve essere quella dei diritti dei britannici che vivono nella Ue e dei cittadini dell’Unione che vivono del Regno Unito.
“Nonostante gli stretti limiti temporali, pensiamo di trovare una soluzione ragionevolmente rapida” hanno dichiarato Barnier e Davis, con il segretario per la Brexit che ha annunciato una “offerta” sui diritti in arrivo da Theresa May.
La premier la presenterà al prossimo Consiglio europeo, il 22 e 23 giugno a Bruxelles, per una messa a punto assieme agli altri leader. Quindi, ha aggiunto Davis, sarà pubblicato un documento lunedì 26 giugno, “per esporre la nostra offerta a grandi linee”.
Il ministro britannico per la Brexit ha anche confermato l’intenzione della Gran Bretagna di “lasciare il mercato unico e l’unione doganale”, mentre “le future relazioni” tra le parti, ha voluto precisare Davis, saranno discusse solo dopo aver fatto “sufficienti progressi” sui diritti dei cittadini, sui conti da pagare e sul futuro dell’Irlanda del Nord.
Barnier non ha mancato di replicare: “E’ il Regno Unito che lascia l’Unione europea, non il contrario. Bisogna che se ne assumano le conseguenze umane, sociali, finanziarie, giuridiche, economiche e politiche che nessuno deve sottostimare o ridurre.
Noi comunque siamo al lavoro per trovare un accordo con il Regno Unito”. Dopo tanta attesa, questi dunque i primi passi del negoziato per il divorzio tra Ue e Regno Unito, mossi dalle due delegazioni al Berlaymont, la casa della Commissione europea affacciata sul rond-point Schuman, il cuore del quartiere comunitario di Bruxelles.
È passato un anno dal 23 giugno 2016, giorno del referendum sulla Brexit, e finalmente le trattative possono partire. Tanto tempo hanno avuto bisogno gli inglesi per prepararsi: la notifica dell’articolo 50 del Trattato, la richiesta formale di addio, è arrivata solo lo scorso 29 marzo, giorno dal quale sono scattati i due anni per chiudere la pratica.
Poi il voto anticipato, la débacle di Theresa May e l’incertezza, dal sapore di impreparazione, con la quale il team guidato da David Davis – ancora orfano di un governo che nemmeno si sa se nascerà – arriva all’appuntamento storico.
A questo punto gli europei sperano che il nuovo governo May non nasca proprio e che si possa lavorare con un nuovo e più stabile esecutivo visto che a Bruxelles si vuole stabilità e certezza per chiudere un negoziato ad altissimo rischio.
Si teme al contrario che un gabinetto debole e a tempo possa irrigidirsi su posizioni oltranziste. E oltretutto un suo collasso a trattative in corso potrebbe cancellare tutti i progressi compiuti, con il rischio di arrivare al 2019 senza accordo. Non per questo però gli europei si presentano all’appuntamento di oggi confusi.
Al contrario, a Bruxelles è tutto pronto da mesi, in attesa che i britannici risolvessero le loro questioni interne. Prima di tutto, come si è visto, il calendario.
Il negoziatore Barnier ha le idee chiare: prima chiudere la pratica di divorzio, poi trattare i futuri rapporti con Londra.
L’addio consiste nel regolare tre punti, delicatissimi. Primo, i diritti dei tre milioni di cittadini europei residenti nel Regno Unito, con la Ue che per loro chiede un diritto di residenza a vita.
Secondo, l’assegno di addio chiesto a Londra, dai 60 ai 100 miliardi di euro non ancora quantificati da Bruxelles ma chiamati a coprire tutti gli esborsi finanziari ai quali Londra si è impegnata con il bilancio e con i vari programmi europei ai quali si aggiungono i costi per la Brexit, compreso il trasferimento delle due agenzie Ue (Ema ed Eba) da Londra, e le future pensioni dei funzionari britannici nelle istituzioni europee.
Terzo, la gestione dei nuovi confini tra Gran Bretagna e Unione, a partire da quello irlandese, politicamente il più delicato (si punta ad evitare il ritorno di una frontiera fisica che potrebbe creare nuove tensioni tra Dublino e Belfast gestendo l’ingresso dei prodotti e delle persone in Europa tramite una dogana virtuale sparsa sul territorio irlandese grazie all’uso massiccio della tecnologia).
Barnier punta a gestire questi tre dossier con i round negoziali con l’obiettivo, forse troppo ambizioso visto il quadro politico inglese, di chiudere entro ottobre-novembre 2017.
A quel punto si potrebbe impiegare la prima metà del 2018 per trattare i futuri rapporti Ue-Uk, con l’incognita di chi guiderà il nuovo governo britannico. Se restasse l’impostazione di una Brexit dura, non sarà facile trovare la quadra.
Posto che in caso di mancato accordo le relazioni tra i due ex coniugi saranno freddamente regolate dal Wto, si cercano una serie di accordi transitori che permettano un’uscita morbida di Londra dal mercato unico e la regolamentazione ordinata di centinaia di dossier economici e commerciali.
Il nodo resta quello della City, che gli europei hanno preso in ostaggio per avvantaggiarsi nella prima parte del negoziato: Bruxelles minaccia di costringere le potenti clearing houses, le società basate a Londra che materialmente gestiscono i flussi finanziari, a trasferirsi in territorio Ue, con un danno enorme per l’economia della capitale inglese.
E poi il resto della finanza, alla quale gli europei non concederanno automaticamente un passaporto per operare nell’Unione: ci sarà uno screening settore per settore che lascia nell’ansia i signori della finanza.
Ecco, lo status della City sarà uno dei nodi della seconda parte dei negoziati, che dovranno regolare anche tutti gli altri settori che legano gli ex partner.
Certo è che l’eventuale conversione ad una soft Brexit aiuterebbe i negoziati: se Londra restasse nel mercato unico e nell’Unione doganale l’accordo sarebbe molto più semplice (ma gli inglesi dovrebbero accettare la giurisdizione della Corte e soprattutto le quattro libertà dell’Unione, a partire da quella di circolazione e stabilimento delle persone).
Barnier vorrebbe chiudere la seconda fase dei negoziati entro l’autunno del 2018 in modo da permettere le ratifiche degli accordi e il voto del Parlamento europeo, che avrà la parola definitiva sugli accordi, entro marzo 2019, scadenza dei due anni di negoziati previsti per legge.
Sarà una corsa contro il tempo e oggi a Bruxelles e nelle Cancellerie continentali c’è chi teme che il pasticcio politico della May e la conseguente incertezza a Londra possa portare al temuto flop: tanto che dietro le quinte ormai si lavora al piano B, la via d’uscita da imboccare in caso di mancato accordo per evitare quel disastro economico e politico che colpirebbe entrambe le parti.
Intanto in questi mesi l’Unione sarà costretta a ripensarsi, a rilanciare sulla propria identità per affrontare il futuro post Brexit: dopo le elezioni tedesche del 24 settembre il rilancio fin qui discusso e immaginato sarà messo nero su bianco da Merkel e Macron, con l’Europa che cercherà il rilancio su difesa comune, politica estera e sociale e ridisegnando la governance dell’eurozona.