Londra (Giulia Faloia) – Che il Bel Paese non sia l’Eldorado dell’accettazione LGBT+ non è un segreto per nessuno, ma quello che non tutti sanno è che tra i motivi per cui tanti si trasferiscono a Londra rientra proprio la libera accettazione di sé e del proprio orientamento sessuale, senza discriminazioni di nessun genere.
La comunità italiana nella City è infatti molto grande – si stima corrisponda all’incirca a 350.000 persone – e al suo interno rientra anche un corposo numero di persone LGBT+. L’acronimo comprende lesbiche, gay, bisessuali, trans e ogni altra minoranza relativa all’orientamento sessuale la cui indicazione specifica renderebbe poco pratico l’uso della sigla.
Proprio grazie al carattere estremamente gay friendly di Londra sono nate diverse associazioni a tutela dei diritti della comunità gay. Tra tutte spicca “Wake up Italia”, nata dal movimento pro unioni civili del 2016 e finalizzata alla somministrazione di servizi specifici, come l’informazione e il costante aggiornamento sulla legislazione italiana nei confronti della comunità LGBT+.

Il tema ha ispirato lo studio di Claudia Delrio, pubblicista e studentessa italiana, specializzanda in Comunicazione presso la facoltà di Richmond a Londra.
Il suo progetto si chiama “What About Us?” ed è un progetto di ricerca che si occupa di comprendere e rappresentare la comunità LGBT+ italiana a Londra. Lo studio è incentrato in particolare sui motivi che spingono gli italiani a lasciare il proprio Paese per andare a vivere nel Regno Unito.
Per usare le parole di Claudia “Questo progetto ha l’ambizione di dare una voce al gran numero di italiani che hanno deciso di abbandonare la realtà opprimente che l’Italia propina, ma con la speranza nel cuore e con la forza d’animo di volerla cambiare, anche se da lontano. Questa ricerca sul campo è più di un semplice progetto, ma un movimento per rendere il cambiamento effettivo”.

Il progetto in questione ha esaminato un campione di italiani a Londra sottoponendolo a un sondaggio dal quale è risultato che solo quattro persone su quindici hanno lasciato l’Italia per cercare un lavoro all’estero.
Più della metà degli intervistati vive a Londra da meno di un anno, mentre il 25% di loro ha vissuto in Inghilterra fino a un massimo di tre anni. Solo un 15% degli intervistati afferma di vivere a Londra da circa cinque anni.
Sette persone su quindici hanno ammesso di aver scelto Londra per vivere la propria vita privata più serenamente e senza discriminazioni dovuti al proprio orientamento sessuale. Ben il 40% degli intervistati da “What About Us?” ha ricondotto la scelta della City a questo motivo.

Analizzando più approfonditamente i motivi della scelta, è emerso che il 14% degli intervistati non considera fondamentale il fatto che il matrimonio sia legalmente riconosciuto in Inghilterra, mentre ben il 57% la ritiene una ragione molto importante.
Ma le sorprese che emergono dallo studio non finiscono qui. Infatti solo una persona su quindici è iscritta a un’associazione LGBT+, mentre due persone su quindici partecipano casualmente ad attività organizzate da associazioni LGBT+. Sembra quindi che sebbene il clima estremamente gay friendly sia il motivo principale per cui tanti si spostano in massa dall’Italia, non tutti sentano l’esigenza di impegnarsi a livello di associazionismo.
Diverse le impressioni sulla stessa comunità, dal momento che il 40% degli intervistati afferma che questa sia più unita a Londra di quanto non sia in Italia, mentre il 13% afferma che siano unite allo stesso modo in entrambi gli Stati e il 47% di non esserne sicuro.
Quello che forse colpisce di più dell’intero studio sono le testimonianze dirette. Antonio Cabras ad esempio ha parlato degli episodi di omofobia subiti in Italia: “Sono stato aggredito più di una volta: in un’occasione sono stato picchiato; le urla, gli insulti e le persone che mi sputavano in faccia in mezzo alla strada erano all’ordine del giorno. Sono stato privato della mia dignità e libertà”.

Se le testimonianze sulla situazione attuale italiana non sono per niente confortanti le impressioni sulle prospettive future non sembrano promettere niente di buono. Quando gli è stato chiesto se ci sono possibilità di cambiamento per il Bel Paese, Antonio ha risposto: “Spero di sì e spero avvenga il più presto possibile, ma ne dubito. Continuano a entrare al governo xenofobi che promuovono il razzismo e l’omofobia. Se la situazione non cambia non credo che succederà, anzi, peggiorerà”. Ancora più pessimista Nadia Di Maggio, un’altra intervistata che ha risposto: “No, al momento credo si continui a favorire l’esclusione e la caccia al “diverso” piuttosto che la sua tutela e inclusione”.
Quando invece l’intervista si sposta su Londra l’atmosfera cambia. Per prima cosa i motivi che hanno spinto gli intervistati a raggiungere la City. Antonio ha raccontato: “conosco persone che ci vivono e che ci hanno vissuto, ho sempre sentito parlarne bene, soprattutto riguardo alla comunità LGBT+. Considerata la situazione politica in Italia, ho deciso di partire e constatare con i miei occhi la situazione. L’ho fatto e adesso sto bene con me stesso e con gli altri, nella realtà londinese”.

Parlando invece degli aspetti che rendono Londra gay friendly, lo stesso Antonio ha individuato come caratteri principali il grande numero di persone LGBT+, incrementato anche grazie al turismo, la quantità di manifestazioni, eventi e serate – anche diverse da quelle in discoteca – dedicate alla cultura LGBT+ e il carattere multietnico della City. Nadia ha invece individuato i punti salienti nell’integrazione data dalla presenza di associazioni LGBT+, con particolare riferimento al supporto per le vittime di omofobia, nel melting-pot omosessuale londinese di Soho e nel Gay Pride annuale.
Nonostante i toni entusiasti del campione intervistato, non vengono risparmiate le critiche alla stessa comunità LGBT+. Riguardo i contrasti interni infatti, Antonio ha raccontato: “Le trovo orrende: non mi capacito di come delle persone che hanno subìto lo stesso tipo di violenze possano a loro volta discriminare le minoranze all’interno della minoranza stessa – come bisessuali e transessuali, per esempio”. Della stessa opinione Nadia, che racconta: “Penso che siano una vergogna. Aver subito sulla propria pelle discriminazioni e atti omofobi dovrebbe spingere i membri della comunità alla coesione, ma nonostante ciò, categorie come quelle dei trans e dei bisessuali sono spesso oggetto di fobia ed esclusione da parte delle stesse singole comunità LGBT+”.

Non poteva mancare un’indagine sulle possibili soluzioni al problema delle discriminazioni e l’educazione, naturalmente, la fa da padrone: “la famiglia ha un ruolo primario, deve esserci un ambiente sano che insegna a priori queste cose ai bambini, ma la scuola è la loro seconda casa a quell’età, quindi ritengo che l’argomento debba essere affrontato e non con leggerezza, come spesso avviene” afferma Antonio.
Oggi sembra quindi che Londra sia vista come il paradiso dell’accettazione e della tolleranza, ma non è sempre stato così. Forse la vittima più celebre di discriminazioni in Inghilterra è Alan Mathison Turing, matematico, logico, crittografo filosofo britannico, considerato uno dei padri dell’informatica e uno dei più grandi matematici del XX secolo. Ebbe un ruolo fondamentale nella risoluzione della seconda guerra mondiale ed è considerato il padre della Macchina di Turing, che oggi chiamiamo computer. Tutto ciò non è però servito a salvarlo dalla castrazione chimica, a cui è stato sottoposto perché “incriminato” di omosessualità e in seguito alla quale si è suicidato.
Naturalmente sono stati fatti passi enormi rispetto al passato, ma aberrazioni come questa dovrebbero essere tenute a monito dell’importanza e della fatica con cui si è arrivati alle conquiste attuali, indipendentemente dal Paese di provenienza e da quello in cui si sceglie di vivere.
https://www.youtube.com/watch?v=Y3ANbkDDgAs&feature=youtu.be