“J’ai deux amours” cantava Josephine Baker, la venere nera, che aveva perso l’antico fascino ma non l’ironia e la dignità: “conservez vos illusions”. Ingrediente raro, e sempre meno prezioso, nel brodo attuale, in cui la donna è madre dell’uomo ma l’uomo non le è quasi mai figlio. La varietà e il numero dei reati contro di essa sono un dato sconcertante, mentre la cronaca impasta parole, narrative e retorica. Storie aspre, di violenza e leggi inadeguate; nessuno sa più leggere la posta che la realtà gli recapita. È improprio attribuire ad opere e conquiste la paternità, perché anche nella genesi l’uomo è sangue prestato: pochi minuti contro nove mesi. Tutto il resto è in margine ai dati, freddi e impietosi, tra stalking e stupri, pestaggi, soprusi, angherie. Non c’è estate o calura che tenga, scuse o scappatoie sono generose ingiustizie per dirottare l’attenzione su altro. Un servizio, una lacrima in Tv, e subito via dal palinsesto: non bisogna intristire troppo chi guarda, chi legge, chi ascolta. C’è la politica che bussa tronfia alla porta, c’è una truppa di gente che usurpa il vocabolario dei guerrieri credendo di acquistare peso. Battaglie, scontri, lotte, campagne, scimmiottando ciò che è militare, ossia il contrario di civile.
La politica di oggi, afferma il sagace De Luca, “è solo un ramo minore dell’economia, incaricata di aggiustamenti contabili a colpi di manovrine a spremere”. Ineccepibile, eppure il primo piano è sempre suo. Diligenti, asserviti al potere, gli organi informativi danno ancora poco spazio a una piaga radicata nel tessuto culturale di gran parte del mondo. In Kenia come nelle democrazie nordeuropee, in Canada, Gran Bretagna, Israele, abusi e percosse su mogli, figlie, colleghe, vicine di casa sono all’ordine del giorno. Vittime e aggressori appartengono ad ogni classe sociale, e la tutela è insufficiente: una donna su cinque nell’arco della vita subisce gravi forme di violenza fisica o psicologica da parte del proprio compagno, da amici o sconosciuti. Criminalità e inedia fanno il resto. Trafficanti nepalesi e dell’Asia sudorientale scelgono nei villaggi più poveri il materiale umano da avviare alla prostituzione, e diecimila famiglie all’anno vendono la prole per quattro soldi. Sui mercati occidentali, la tratta delle schiave ha dimensioni anche maggiori, e sfiora il mezzo milione. L’approccio moralista, i luoghi comuni, le false credenze e l’influenza dei retaggi socio-religiosi non bastano a giustificare il silenzio, l’inadeguatezza delle leggi. Ciò che più offende la decenza è il bavaglio istituzionale e burocratico, il rimando, il rimbalzo a un tempo mai troppo maturo per venire. Per gli errori compiuti servirebbe un’enciclopedia, per porvi rimedio la buona volontà, l’azzeramento dell’ipocrisia, senza interventi divini. Agli angeli non serve un tribunale: se gli uomini fossero buoni non avrebbe senso neppure lo Stato, che rappresenta una legge, spesso sballata, per i peccatori inguaribili.