Roma (Phil Baglini Olland) – Ieri dall’inchiesta della procura di Roma sono emersi quattro avvisi di garanzia in chiusura delle indagini a carico degli agenti 007 egiziani. Quello che è emerso è agghiacciante sembra una trama di film horror. Ma qui di film c’è ben poco.

Grazie alla famiglia che ha sempre cercato la verità e grazie all’avvocato di famiglia Alessandra Ballerini, sono riusciti a rintracciare alcuni testimoni, cercando di abbattere gli ostacoli, bugie, depistaggi che in questi anni il governo e le autorità egiziane hanno sempre adottato per evitare le domande scomode (per loro) ma giuste per la Regeni.

Secondo quanto illustrato il sostituto procuratore di Roma Sergio Colaiocco alla commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro e la morte di Regeni, gli 007 avevano nel mirino il ricercatore italiano settimane prima. A rivelarlo è uno dei test interrogato, uno dei principali testimoni, di cui si ignora il nome per la sicurezza e che gli inquirenti lo hanno chiamato GAMMA.

Giulio Regeni, è stato fermato e rapito in strada, il 25 gennaio del 2016 al Cairo dove Giulio stava svolgendo ricerche socio politiche per conto dell’Università di Cambridge.

Subito dopo è stato portato nella sala delle torture, gli viene negato un avvocato, nonostante lui gridi di volerlo. Iniziano le prime botte. Giulio in un italiano misto all’arabo (lingua da lui studiata) urla di volere un avvocato. Ma l’avvocato non lo avrà mai.

Un altro testimone dei 4 che qui chiameremo DELTA che era nella stazione di polizia di Dokki afferma che intorno alle 21, è arrivato un ragazzo sui 27-28 anni, barba incolta, indossava un pullover grigio o scuro, ed è sicuro che quel ragazzo era Giulio Regeni, perchè poi lo ha riconosciuto sui manifesti: “Mentre percorreva il corridoio, chiedeva di poter parlare con un avvocato o con il Consolato”.

Dopodichè Regeni è stato portato al National security egiziana dove Regeni è stato visto da un testimone il 28 gennaio.

La stanza numero 13 delle torture

In quel luogo, non lasciamoci ingannare dal nome, ci sono le stanze delle torture. Regeni viene portato nella stanza numero 13, il testimone dice che lì è stato torturato per nove giorni fino alla morte.

Gli anno strappato le unghie delle mani, dei piedi, lacerato le orecchie, percosse al costato dove Regeni subirà una rottura delle costole, schiaffi, pugni. Un altro testimone dei 4 in una frase dice tutto:“Ho visto Regeni nell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti, io conoscevo solo i due ufficiali. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone… Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura era sfinito, magro, e delirava.”

Da quel giorno i testimoni non sanno altro, almeno cosi per ora dicono.

Il 3 febbraio il ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni in un fosso lungo l’autostrada per Alessandria. Morto.

La famiglia ha e aveva l’unica cosa da urlare, chiedere giustizia per la morte di Regeni, anni di bugie, depistaggi, inganni, perchè ancora oggi non si dicono le verità sul generale Tariq Sabir, del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, tutti accusati in Italia e protetti dal governo egiziano?

La procura di Roma, la famiglia hanno fatto un passo avanti, ma è ancora poco per la vita di Regeni, per come è stato ucciso, il modo atroce e barbarico, disumano, con cui è stato torturato. Perchè accanirsi su un ragazzo? Cosa volevano da lui? Torturarlo per farsi dire cosa? Cosa c’entra uno studente italiano con tutta questa storia? 

Domande che devono avere risposta per la giustizia di una giovane italiano.

E non ci dimentichiamo di Patrick Zaki  lo studente 29enne arrestato il 7 febbraio e rinchiuso in un carcere dell’Egitto.