Sul sito Internet di romacivica.net si legge: “Luigi Longo è nato a Fubine (Alessandria) il 15 marzo del 1900. ……
. Dal Monferrato si trasferisce con il padre a Torino, dove la sua famiglia apre una mescita di vino in corso Ponte Mosca, nei pressi dello stabilimento Grandi Motori della Fiat che ha aperto da poco. Una vita di stenti. I suoi vogliono che diventi falegname, ma a scuola è così bravo che decidono di farlo studiare, per farne uno “statale”. Nel 1920 la sua prima tessera, si iscrive al circolo socialista studentesco di Torino; conosce Antonio Gramsci e Togliatti, frequenta la sede dell’Ordine Nuovo, nel centro della città. Nel 1921 è a Livorno, tra i fautori della scissione che porta alla nascita del Pci. E’ancora studente del Politecnico, ha superato bene il primo anno di esami ma, da allora in poi, i suoi studi universitari vengono sacrificati all’impegno politico e alla famiglia (aveva già due figli). Nel 1922 è membro di una delegazione che si reca a Mosca per il congresso dell’Internazionale, dove incontra Lenin. A Mosca ci andrà varie volte, a partire dal congresso di Lione; nel 1926, appunto, ci va portando con se il figlioletto di tre anni, che ha avuto da Estella, Teresa Noce, sua compagna da qualche anno. Incontra Stalin, naturalmente, e tutti gli alti gradi del Cremlino. La capacità di Longo come dirigente emerge in modo straordinario nella guerra di difesa della Repubblica spagnola. Le Brigate internazionali che Longo dirige sono anche luogo di esperienza politica unitaria, spesso ardua, tra comunisti, socialisti, democratici. Lui è il mitico Gallo, l’ispettore generale delle Brigate internazionali. La risolutezza di Longo nell’assumersi delle responsabilità e nel prendere delle decisioni, la sua calma e il suo sangue freddo nel mezzo dei pericoli, furono, assieme a una grande conoscenza degli uomini e alla scrupolosa cura dei dettagli, fra i principali elementi della coesione e dei successi, ancorché mai definitivi, data la sproporzione degli armamenti, delle Brigate internazionali. La Repubblica spagnola sarà drammaticamente perduta. Ma quando sarà necessario iniziare la lotta di resistenza ai tedeschi, quel patrimonio sarà prezioso”.
“Dopo l’8 settembre del 1943, Longo diede vita alle Brigate Garibaldi. Vicecomandante del Corpo Volontari della Libertà, stretto collaboratore di Parri, fu tra i principali organizzatori dell’insurrezione nel Nord Italia dell’aprile del 1945. Nel dopoguerra, deputato per tutte le legislature, alla Camera si battè soprattutto per le pensioni. Succeduto a Palmiro Togliatti alla guida del Pci, fu segretario dal 1964 al 1972, e divenne poi presidente del partito. Da dirigente comunista non rinunciò ad esprimere le proprie convinzioni anche quando queste potevano sembrare “controcorrente” all’interno del Partito. Nel 1968, infatti, incontrò i dirigenti del movimento studentesco e in un articolo su Rinasciata non esitò a dire: <Non si può negare che ci sia stato distacco tra il Partito e la realtà politica che si è venuta creando nel campo studentesco>. In un altro momento delicato, nel 1976 criticò apertamente la politica del Partito nei confronti del governo Andreotti. Luigi Longo è morto a Roma nel 1980”.
Ma veniamo ai drammatici giorni dell’aprile 1945 (25-30) che hanno caratterizzato la fine della guerra di librazione combattuta per liberare l’Italia dalla tirannide nazifascista. Sul Web (www.resistenze.org. I siti Internet citati sono reperibili per via telematica) si legge: “Alle ore 20,30 del 27 al Comando generale del CVL (Corpo Volontari della Libertà, ndr) perviene dalla 52a Brigata Garibaldi (Luigi Clerici) il messaggio: <Mussolini, Pavolini, Bombacci sono stati arrestati. Seguiranno altre notizie>. Queste arrivano due ore dopo con i nominativi dei catturati. Sono noti i particolari dell’arresto di Mussolini e della sua banda. Un distaccamento di garibaldini in missione per andare a cercare qualche pacco di sigari trova invece… Mussolini. Le vie del tabacco, come quelle del Signore, sono veramente infinite. Altrettanto noti sono i particolari della fucilazione del Duce e della Petacci in località Giulino di Mezzegra (Como) su ordine del CLNAI (Comitato Nazionale per la Liberazione dell’Alta Italia, ndr). La decisione era già stata presa dal Comando generale del CVL in uno scambio di opinioni avvenuto all’inizio dell’insurrezione, sulla sorte da riservare a Mussolini nel caso fosse stato catturato dai partigiani. <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche> fu la proposta di Luigi Longo che aggiunse: <E’ da tempo che il popolo italiano ha pronunciato la sentenza, non si tratta che di eseguirla>. Gli altri membri del comando furono tutti concordi”.
“Tuttavia l’esecuzione della sentenza non fu facile perché ci fu chi cercò di mettere il proverbiale bastone tra le ruote. Appena giunta al comando del CVL la notizia della cattura di Mussolini vengono immediatamente inviati il colonnello Valerio (Walter Audisio) e Aldo Lampredi (Guido) con un plotone di garibaldini dell’Oltrepò pavese appena giunti a Milano; il plotone ha l’ordine di fare giustizia. All’indomani mattina racconta Luigi Longo, <mentre mi trovavo al comando fui chiamato al telefono da Como. Era Valerio che voleva informarmi della situazione. Un vociare, un intrecciarsi di strida, risuonavano nella stanza da cui Valerio telefonava. Ad un tratto sento Valerio gridare come un ossesso: <Fuori di qui altrimenti vi faccio fuori io>. La situazione era questa: quelli del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale, ndr) di Como erano più terrorizzati che onorati della cattura di Mussolini. Sollevavano ogni possibile eccezione per non guidare Lampredi e Valerio dove si trovava Mussolini. Si capiva che era giunto qualche agente americano per fare valere particolari diritti sulla persona di Mussolini. Valerio chiedeva istruzioni. La risposta che diedi fu semplice: <O fate fuori lui o sarete fatti fuori voi>. Non ci fu, conclude Longo, bisogno di altro. <Sentii sbattere il ricevitore sull’apparecchio telefonico e mi immaginai il colonnello Valerio filare dritto, dritto, senza più esitazione alcuna per la missione cui era stato comandato>”.
“Il quartier generale alleato immediatamente informato della cattura di Mussolini, al mattino del 28 fa pervenire al CLNAI due pressanti messaggi; il primo dice: <Per CLNAI stop Comando alleato desidera immediatamente informazioni su presunta locazione Mussolini dico Mussolini stop Se est stato catturato si ordina egli venga trattenuto per immediata consegna at comando alleato stop Si richiede che voi portiate queste informazioni subito et notifichiate formazioni partigiane che avrebbero effettuato cattura del suddetto ordine che riceve assoluta precedenza>. Due ore dopo arriva il secondo messaggio: <Per CLNAI dico CLNAI stop XV gruppo d’armate desidera portare Mussolini et Graziani dico Mussolini et Graziani at sede comando alleato stop Se voi siete disposti a rilasciarli est possibile inviare quadrimotore per prelievo>. Gli alleati non avevano mai avuto così grande fretta nelle loro operazioni, ma gli italiani avevano più fretta di loro. Nel momento in cui incalzano con i loro messaggi, giustizia è già stata fatta. Ed è importante sia stata fatta dagli italiani in nome del popolo italiano” (a quei due radiomessaggi, provenienti dal comando interalleato di Siena, il CVL rispose che Mussolini era già stato fucilato a Milano nello stesso luogo dov’erano stati massacrati, l’anno prima, quindici patrioti antifascisti, ndr).
“Due giorni dopo, quando il colonnello Charles Poletti, commissario per la Lombardia del governo militare alleato arriva a Milano, accompagnato dal colonnello Hancock, si congratula con alcuni aperti O.K. per <il magnifico lavoro fatto>. Al ricevimento dato in prefettura dalle autorità, in suo onore, il Poletti dichiara tra l’altro: <Siamo andati a spasso per Milano. Abbiamo trovato ordine, disciplina. Siamo stati anche a piazzale Loreto. Esprimiamo la nostra soddisfazione al CLNAI e ai partigiani per il magnifico lavoro fatto (sic!, ndr)>. A guisa di commento un ufficiale del seguito di Poletti cita una sentenza americana: <L’albero della libertà fiorisce solo là dove l’irrorano periodicamente col sangue dei tiranni e dei martiri>. Alla sera del 27 fanno il loro trionfale ingresso in Milano esultante i partigiani dell’Oltrepò, al mattino del 28 quelli della Valsesia e dell’Ossola (c’è chi dice a ragione che siano, invece, giunti nel primo pomeriggio del 28, alle 15, e che siano stati ricevuti da Luigi Longo in persona, ndr). I resistenti sono in ritardo sui piani prestabiliti, ma la realtà è sempre più complessa di ogni previsione. La loro non è stata una passeggiata, hanno dovuto aprirsi il varco combattendo; l’ultimo scontro prima di arrivare a Milano, quelli dell’Oltrepò l’hanno sostenuto a Casteggio (il che non è vero, ndr) ed i valsesiani si sono scontrati duramente col nemico prima di Novara, a Busto ed in altre località lungo la strada per Milano (il che è vero, ndr)”.
La lettura delle righe soprascritte ci permettono di affermare che Luigi Longo, la mattina del 28 aprile del 1945, era a Milano nella sede del comando del CVL. Molti Autori, invece, dicono che quella telefonata è stata una bufala inventata da Longo per mascherare una ben altra verità. Per loro Longo sarebbe partito di volata dopo l’Audisio e si sarebbe recato a Bonzanigo dove avrebbe fucilato di persona sia il Duce che Claretta Petacci (F. Bandini. Vita e morte segreta di Mussolini. Mondadori, 1978; U. Lazzaro. Dongo. Mezzo secolo di Vergogne. Mondadori, 1997; L. Garibaldi. La pista inglese. Ares, 2002; P. Tompkins. Dalle carte segrete del Duce. Il Saggiatore, 2004; G. Pisanò. Gli ultimi cinque secondi di Mussolini. Il Saggiatore, 2004; P. Maccarini. Claretta e Ben. La fine. Edizioni Guardamagna, 2005). Riportiamo, ad esempio, la seguente notizia telematica (it.altermedia.info): “E’ morto ieri sera, nell’ospedale di Vercelli dove era da qualche giorno ricoverato, Urbano Lazzaro (Bill), il partigiano della 52° Brigata Garibaldi che il 28 aprile 1945, a Dongo, arrestò Benito Mussolini. Il Duce, indossato un cappotto tedesco, si era nascosto su un camion della colonna e stava tentando l’espatrio in Svizzera (affermazione ormai seza significato perché provatamente non vera, ndr). Il Lazzaro scrisse anche un libro su Mussolini, a quattro mani con Pier Bellini delle Stelle (Pedro, ndr), comandante della brigata garibaldina in cui militava. Nel saggio sosteneva che a fucilare Mussolini non sarebbe stato il colonnello Valerio, bensì Luigi Longo, smentendo così una fotografia pubblicata sul Corriere della sera dell’epoca che avrebbe immortalato Longo, in quelle stesse ore, durante un comizio a Milano”. Urbano Lazzaro non ha mai deflettuto. Anche nel 2004 ha confermato in Televisione che ad uccidere il Duce è stato Luigi Longo (M. L., Forenza, P. Tompkins. Mussolini: L’ultima verità. RAI TRE, 30 Agosto, 2004. Idem. Il carteggio Churchill-Mussolini: L’ultima verità. RAI TRE, 7 Settebre, 2004).
Ha scritto lo storico Roberto Festorazzi (www.ilnostrotempo.it): “Di Bill mi piacevano poco una certa attitudine a cercare le luci della ribalta e le sue concessioni alla facile moda dello scoop a tutti i costi. Tra gli attori dei fatti di Dongo, è stato il più prodigo di rivelazioni: prolifico autore di libri, sempre pronto a rilasciare interviste e a firmare articoli sui giornali. I suoi detrattori, probabilmente esagerando, hanno sostenuto che, nell’immediato dopoguerra, visse in hotel confortevoli, prezzolato dai reporter della grande stampa internazionale. Certo non se la passò poi tanto male, né allora, né dopo, anche se i suoi ex compagni di battaglie comunisti non gli hanno mai perdonato di non essersi consegnato alla linea del silenzio tombale: e per qualcuno l’aggettivo tombale è purtroppo valso in senso letterale”. Di Urbano Lazzaro va, inoltre, detto che è stato invischiato fino al collo nell’occultamento degli incartamenti che Mussolini trasportava con sé nel suo disperato tentativo di raggiungere incolume la Valtellina dove avrebbe voluto trincerarsi nel fantomatico Ridotto Alpino Repubblicano (F. Andriola. Mussolini-Churchill. Carteggio segreto. Piemme, 1996; Idem. Carteggio segreto. Churchill-Mussolini. Sugarco, 2007). C’è anche chi dice che sia stato lui, o uno dei suoi figli (aveva solo figlie femmine, ndr) a consegnare i diari di Mussolini (apocrifi, ndr) al senatore di Forza Italia, il bibliofilo Marcello Dell’Utri (it-alt.politica.anticomunismo.politica-e-società; www.comedonchisciotte.org). Quest’ultima, però, è una panzana bella e buona (ndr).
La fotografia che ritrae Longo a Milano è inequivocabile (la mostro dopo averla presa dal sito www.storia900bivc.it). Si può affermare con assoluta certezza che nel pomeriggio del 28 aprile, dopo le ore 14, Longo era sicuramente nel capoluogo lombardo (D. Fertilio. Seniga: “Non fu Longo a uccidere il Duce”. Era con me a Milano. Corriere della Sera, 5 Agosto, 1993). Non sarebbe stato, pertanto, lui il colonnello Valerio che avrebbe ordinato di fucilare i 15 gerarchi fascisti, catturati il giorno prima a Musso, sul lungo lago della piazza di Dongo (A. Zanella. L’ora di Dongo. Rusconi, 1993). Un’altra considerazione a questo punto va fatta. Si è sempre detto che Longo avrebbe affiancato il Lampredi all’Audisio per controllarne le mosse. Se l’Audisio-Valerio altri non era che Luigi Longo, non si capisce il motivo per il quale Longo avrebbe affidato a qualcuno il compito di sorvegliare se stesso (www.centrostudiluccini.it).
Ciò vale solo se non si prevede una missione collaterale a quella dell’Audisio capeggiata da Longo in persona. L’ipotesi di due commandos con fini diversi (uccidere Mussolini da un lato ed i gerarchi dall’altro) mi sembra un tantino forzata. Mi pare strano che il colonnello Valerio non fosse stato informato che qualcuno (proprio il suo diretto superiore) l’avrebbe seguito a ruota, andando ad uccidere il Duce a sua insaputa. Che bisogno aveva il Longo di appioppare il Lampredi come mallevadore dell’Audisio? Poteva incaricare direttamente il fidato e più sperimentato Guido (il Lampredi) di andare a Dongo e lasciare il poco esperto colonnello Valerio tranquillamente a casa. In questo caso il Valerio era solo zavorra, un inutile surplus che non serviva a niente. A meno che la mente diabolica di Longo non avesse già preconizzato la possibilità di fare dell’Audisio, ovviamente considerato più succube e più malleabile del Lampredi, lo zimbello dell’orgia primaverile che si pavoneggiava sotto il vessillo vermiglio istoriato con la falce e con il martello. D’altronde l’Audisio quando è partito da Milano con il Lampredi ed i partigiani dell’Oltrepò pavese era fermamente convinto di dover andare sul lago di Como per prelevare Mussolini e per portarlo vivo a Milano (G. Pisanò op. cit.). C’è chi dice, invece, che era, fin dalla sua partenza, sicuro di dover recarsi sul Lario per uccidere seduta stante il Duce (M. Viganò. “Un istintivo gesto di riparo”: nuovi documenti sull’esecuzione di Mussolini (28 aprile 1945). Palomar, n° 3, 2001). In ogni caso il colonnello era all’oscuro di manovre sotterranee finalizzate a baipassarlo. Che queste ci siano state da parte dei filoamericani del CVL (generale Raffaele Cadorna, barone Giovanni Sardagna) è fuori discussione (F. Bandini. Le ultime 95 ore di Mussolini. Mondadori, 1968). Prospettare un intervento dei comunisti milanesi destinato a cortocircuitare la missione dell’Audisio è, però, un affermazione azzardata ancora tutta da provare.
Se Longo ha strumentalizzato l’Audisio non ha fatto di certo un favore ad un suo conterraneo (l’Audisio e Longo erano entrambi piemontesi). Nel dopoguerra Valerio, per quello che non ha compiuto, è stato pure minacciato di morte. La paura è stata tanta. Infatti è morto d’infarto. E non era il primo (A. Bertotto. Walter Audisio, il colonnello Valerio: psicologia di un giustiziere. Storia del Novecento, Maggio, 2007). Un membro del CVL di Como, Oscar Forni, presente a Dongo ha escluso che il colonnello Valerio fosse Luigi Longo, una persona i cui tratti fisionomici gli erano ben noti (A. Bertotto. Mussolini estremo. Edizioni Gino Rossato, 2007). Una persona del vertice comunista romano che non vuole essere nominata mi ha detto (comunicazione personale) che l’ottuagenario autista di Luigi Longo ha affermato che il suo “padrone” (così lo chiamava) non si è mosso dalla sede del CVL milanese per tutta la mattina del 28 aprile del 1945. Ha anche detto che al Longo, visibilmente nervoso ed insolitamente agitato, l’autista fac totum aveva dovuto preparare tre caffè, cosa che ricordava benissimo perché il boss ciellenneista non era solito abusare di questo tipo di bevanda. Longo avrebbe anche fumato alcune sigarette, cosa per lui del tutto inusuale. Senza contare il fatto che il senatore Leo Valiani ha affermato, non senza alcune incertezze, che quel giorno (il 28 aprile) Longo è stato ospitato a pranzo in casa sua (L. Garibaldi. op. cit.). Per completezza va detto che Zita Ritossa, la compagna di Marcello Petacci fucilato a Dongo, avrebbe asserito di aver riconosciuto Longo il 28 aprile sulla piazza di Dongo. Altri partigiani che lo conoscevano non hanno, in verità, confermato quanto testimoniato dalla Ritossa (A. Bertotto. op. cit.).
L’ipotesi di Urbano Lazzaro (Bill) circa il ruolo svolto da Luigi Longo nell’uccisione di Mussolini non è molto convincente. Ha affermato il già citato storico Roberto Festorazzi: “Anzi, per taluni versi, Bill anticipò quella corrente di pensiero che ha voluto tenacemente contrapporsi alla cosiddetta versione ufficiale sulla morte del Duce. Debbo dire che i racconti di Valerio, e anche quelli di Moretti (Comissario politico della 52° Brigata Garibaldi operante sull’alto lago di Como, ndr), non mi hanno mai convinto del tutto. Ma di qui ad affermare, come fece Bill negli anni Ottanta, che Mussolini e la Petacci furono ammazzati la mattina del 28 aprile (anziché il pomeriggio) vicino a casa De Maria, dove i due prigionieri avevano trascorso la notte, anziché davanti al cancello di Villa Belmonte, ce ne corre parecchio. Specie se si tiene conto che Lazzaro giunse a sostenere che il colonnello Valerio non era Walter Audisio, ma nientemeno che Luigi Longo. Una tesi, quest’ultima, che mi ha sempre lasciato perplesso in quanto Bill non fu nemmeno presente sulla scena dell’esecuzione”(www.ilnostrotempo.it).
Nel 1957, durante le udienze nel tribunale di Padova (processo per l’oro di Dongo) è stato ascoltato, in qualità di testimone, Walter Audisio, il sedicente giustiziere di Dongo (U. Lazzaro. L’oro di Dongo. Mondadori, 1998). Eravamo in quel tempo nell’era dello scelbismo imperante, nel pieno di un grande processo in cui gli imputati erano i partigiani comunisti se non lo stesso Partito comunista come istituzione in toto. Perché Bill (il Lazzaro) non ha approfittato di quella ghiotta occasione per dire apertamente che il colonnello Valerio non era l’Audisio, ma bensì Luigi Longo? Che motivo aveva di tacere fino agli anni Novanta. Aspettava per vendere al miglior offerente le sue “sensazionali rivelazioni?” (M. Passi. Il colonnello Valerio ed Aldo Lampredi a Padova. www.centrostudiluccini.it).
Ma cè chi la pensa in un altro modo, più per motivi ideologici che storici: “Bisognava cominciare con lo stabilire il nome del giustiziere. Chi? Chi più degno del comandante dei partigiani comunisti in persona? Chi più degno di Luigi Longo, il fiduciario di Stalin in Italia? E’ lui che sotto il nome di colonnello Valerio si reca con la lista in mano (in cui c’è anche Benito Mussolini perché a chi lo aveva scritto non risultava che qualcuno l’avesse portato via) a far fucilare nella piazza di Dongo i ministri fascisti dopo che si è resa impossibile la fucilazione pubblica in piazzale Loreto di tutti quanti, come primo atto del nuovo corso in Italia con loro al comando. (Poi ci ripenseranno e decideranno di cambiare il nome del giustiziere. Toccherà, guarda caso ad un altro ragioniere, un certo Walter Audisio, che dovrà assumersi quel ruolo per ordine del Partito, ma in cambio avrà il seggio in Parlamento … purché non parli). Ma Valerio (quello vero, cioè l’Audisio) sa bene che Mussolini non è col gruppo dei ministri. Lo sa perché gli avevano detto che in casa De Maria avrebbe trovato l’uomo che cercava. Un uomo vivo, naturalmente, da portare assieme agli altri a Milano per la grande festa in piazza. E chi ci trova davanti a casa De Maria prima ancora di mettervi piede? Ci trova due cadaveri e due deficienti col fucile in braccio che balbettano di non saperne nulla (Giuseppe Frangi, Lino e Guglielmo Cantoni, Sandrino, i due custodi del Duce prigioniero a Bonzanigo, ndr)”.
“E allora che ci può fare il povero colonnello Valerio con quei due cadaveri al posto di un Mussolini vivo? E quel cadavere di donna che non è certo Donna Rachele, che c’entra quello? Valerio è furioso, non sa che pesci pigliare. Intanto fa portare i due morti nel garage di un vicino albergo. Poi, visto che la festa a Milano non si può più fare, decide di fare la mattanza a Dongo. Infine si ritira a meditare sul da farsi, mentre il povero neosindaco di Dongo, Rubini, urla che lui non ci sta, che lui aveva dato la sua parola che ai prigionieri non sarebbe stato torto un capello. Altro che capello, ci vuole un acquazzone amazzonico per pulire la piazza da tutto il sangue che la allaga. Valerio alla fine decide per la fucilazione di Mussolini e della Petacci, ma non certo a Milano, in un posto nascosto dove nessuno possa vedere che vengono fucilati due cadaveri. E l’autopsia? Penseranno anche a quella, ma dopo, con calma. Intanto andranno tutti a Piazzale Loreto, dove li esporranno al pubblico, poi qualcuno di buona testa penserà alla versione da dare. Non sarà la stessa cosa del processo popolare, ma sarà sempre un gran spettacolo. A Milano spiegherà tutto ai suoi amici. <Ma non dovevi portarli vivi? E adesso che ci facciamo con questi cadaveri? La gente mica è scema, la gente li voleva vedere fucilare> Lui non sa che rispondere. Prima si tira fuori da tutto e meglio è”, (www.leganazionale.it).
I comunisti, ovviamente, sostengono il contrario: “Ricorda Fermo Solari, l’uomo del Partito d’azione che condivide il comando con il comunista Luigi Longo: <Telefonarono da Musso che il Duce era prigioniero. Longo uscì per dare ordini e poi mi disse: Ho trovato solo Audisio, ho mandato su lui perché ce lo porti a Milano>. Quando si seppe che Mussolini e i gerarchi erano stati fucilati dall’Audisio e compagni noi ci adattammo al fatto compiuto che del resto approvavamo in pieno. Lo approvavano in pieno anche perché da uomini politici sapevano che la fucilazione di Mussolini sarebbe stata una responsabilità destinata a pesare negli anni” (www.feltrinellieditore.it).
Le considerazioni fin qui esposte, sebbene sembrino escludere un coinvolgimento diretto di Longo nell’uccisione del Duce, non risolvono, comunque, il problema della morte del capo del fascismo. Sicuramente la versione fornita da Walter Audisio è falsa. Molto probabilmente Mussolini è morto al mattino e non alle 16,20 del 28 aprile davanti al cancello di villa Belmonte a Giulino di Mezzegra. Ma chi è stato veramente ad ucciderlo? Agenti dei servizi segreti inglesi? Sicari comunisti fatti poi espatriare in Argentina? Il partigiano comunista e custode del Duce Lino? Si è, forse, ucciso infrangendo tra i denti una capsula di cianuro? (M. Di Belmonte. L’assassinio di Mussolini. Libro telematico, 2008. fncrsi.altervista.org). Non si sa. La morte di Benito Mussolini è una storia da riscrivere (A. Bertotto. Paoletti, D’Isidori, Capponi Editori, in corso di stampa). Voglio concludere riportando alcune parole ritrovate sul Web (www.storia900.altervista.org) : “Che la resistenza abbia in ogni caso dozzine di pagine poco chiare e spesso truculente è un fatto che comincia finalmente ad emergere, sia pure con più di mezzo secolo di ritardo: quella relativa agli ultimi minuti di Mussolini è soltanto la più nota tra queste, ed è veramente giunta ora che si cominci ad indagare seriamente sui mille particolari che la nostra storia recente ha ancora da mettere in luce completamente. Anche a costo di sentire, qualche volta, qualcosa che possa urtare i nostri sentimenti politici o le nostre convinzioni: è la verità quella che serve e che va consegnata alle generazioni future, non la leggenda o il mito: e c’è da scommettere che dopo cinquant’anni di leggende molte cose devono ancora emergere del tutto. Qualcuno lo ha chiamato revisionismo, in realtà spesso la recente storia italiana non ha superato nemmeno le indagini preliminari”.