Dopo le ultime disavventure della fiaccola olimpica forse è il tempo della riflessione

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BOICOTTARE? NO ESSERCI E FAR SAPERE

 

E’ uno di quei riti che la nostra società spesso così fredda, alienata, riempie ancora di magia, poesia e significato: la corsa del tedoforo con la fiaccola olimpica.

Non bisogna per forza inserirla in un contesto preciso, vuoi politico, sportivo, sociale, religioso, ma forse una sintesi di tutte queste cose, così com’è la vita di ogni uomo.

La fiaccola olimpica è uno di quei simboli che rimangono nel tempo e nella storia, il fuoco degli dei, rubato a Prometeo è stato ripristinata nel 1928 durante le Olimpiadi di Amsterdam e diventata staffetta nel 1936 durante le Olimpiadi di Berlino.

Sarà utopia, sarà ipocrisia, sarà forse un tocco di paganesimo che ci portiamo dentro, ma dietro a quella fiamma ci sono raccolti gli ideali più belli, più alti, più caldi che una manifestazione del genere riesce a raccogliere. La pace, l’unità, la differenza, uno sport sopra le parti, il bisogno di un confronto non di parole, la conoscenza degli altri…

Un percorso che dovrebbe essere la capacità di andare oltre alle barriere, oltre ai muri, oltre a tutto ciò che gli uomini hanno costruito sotto forma di pensiero o di cemento armato di fede o di politica.

Un percorso pieno di contenuti senza parlare, pieno di motivazioni senza dover dire.

Sarà per la forza mediatica che l’evento può avere, saranno i 137 mila km in cinque continenti che sarà chiamata a percorre, o forse i 22 mila tedofori incaricati a portare questo emblema da Olimpia a Pechino.

 

Le scene che hanno disturbato la quasi eterea accensione a Olimpia, già provata da ben altri fuochi Greci dell’estate precedente, violando il rituale delle sacerdotesse; i pestaggi nella capitale Inglese con estintori e bici travolte; il fallimentare passaggio sotto la torre Eiffel, fino ad organizzare una sorta di passaggio clandestino per le vie di Parigi; organizzazione con numeri da guerra per il passaggio Americano la dicono lunga su come questo simbolo non parla più, ma piange

 

Ora è il tempo delle minacce: chi non vuole esserci ai giochi (esperimento fallimentare già avvenuto a Città del Messico 1968, Montreal 1976, Mosca 1980 e Los Angeles 1984), chi vuole boicottare la cerimonia di apertura (il francese Sarkozy e ora anche Bush) , chi vuole pensare a qualche gesto emblematico da fare durante l’eventuale cerimonia di premiazione (ricordate l’immagine di Tommie Smith e John Carlos con il pugno guantato di nero puntato al cielo), chi si rifiuta di portare la fiaccola (Bhaichung Bhutia, star del calcio Indiano); chi l’ha messo nella campagna elettorale, con noi si va (Veltroni, Pd), con noi non si va (Storace, la destra), noi vediamo cosa fanno gli altri (molti…).

 

Prima che il tutto si tramuti in una sorta di grande reality, dove noi spettatori restiamo in attesa della prossima novità, della prossima impresa dei grandi difensori della libertà del Tibet contra le scelte poco olimpiche dello stato organizzatore, credo che sia importante vivere anche il tempo della riflessione.

Stare da una parte o dall’altra come se fosse una partita di calcio mi sembra la scelta più stupida che possiamo fare.

 

Proviamo a mettere in fila qualche ragionamento che ci aiuti a riprendere in mano la bandiera dei cinque cerchi e non delle cinque manette.

 

1.       La situazione cinese, soprattutto nel campo dei diritti umani, è ben nota anche ai più sprovveduti, i numeri di Amnesty International sono a portata di mouse sui prigionieri, sulle esecuzioni capitali, sulla libertà di informazione, di pensiero… I signori dei CIO avranno almeno per un attimo, oltre all’estratto conto, calcolato anche le ripercussioni di una scelta così forte e provocatoria. La situazione del Tibet non è il frutto degli scontri di questi giorni, il Dalai Lama, così amato in occidente, non è da un anno in esilio in India. Perché allora ci si scandalizza ora, che non ha senso, che è demagogico, che è ipocrita perché sottolinea la nostra cecità su ciò che non è in prima pagina?

 

2.       Si afferma da sempre che lo Sport è proprio una di quelle realtà che riescono a creare situazioni di tolleranza, di condivisione anche la dove sembra decisamente impossibile. Partite a pallone tra Croati e Serbi, di pallacanestro tra Palestinesi e Israeliani, squadre di Football Americano con Star di colore. Di più. Le olimpiadi stesse sono proprio un esempio concreto di sport che grida pace dove c’è guerra, talmente vero che vi è ancora un trattato chiamato “Tregua olimpica” una sorta di grande pausa in un mondo che non smette malgrado la storia di fare e farsi guerra. Allora perché decidere di non far sport proprio la dove forse questo messaggio ne ha più bisogno, dove provocazione vuol dire “esserci” e non “non esserci”?

 

3.       Mentre il presidente dei giochi cinese pronunciava le parole “La fiamma olimpica irradierà luce e felicità, pace amicizia e speranza…” si è tentato di bloccare il discorso un po’ come il nostro Gabriele Paolini incubo degli inviati dei Tg, e poi tentativi di assalto, di spegnimento e altri gesti piuttosto grotteschi. Ma non è contraddittorio spegnere un simbolo della pace con un gesto violento gridando pace? Non è possibile, visto la grande fantasia e intelligenza dei manifestanti, trovare il modo di sfruttare il passaggio del simbolo di fratellanza provocando gesti di fratellanza e non colpi di manganello?

 

4.       Se una delle caratteristiche per essere accettati come paese organizzatori è una certa morale sociale e una certa innocenza nei diritti umani, chi si candida? Oppure pratichiamo la regola che visto che c’è qualcuno che è peggio per gli altri tutto è lecito?

 

5.       Con tutto il rispetto verso il Tibet e pur capendo che forte è il ruolo mediatico di un paese organizzatore, ma nessuno boicotta per il Darfur, per la Somalia, per la Ingrid Betancourt, per Israele, per le logiche del portare pace dell’America, le lapidazioni in Iran e almeno altre decine di motivazioni valide credibile per non accettare un poco credibile abbraccio tra i popoli.

 

6.       Perché di fronte ad un evento come questo, invece di far uscire allo scoperto le varie nazioni con i propri rappresentanti, dove logiche politiche ed economiche  giustificano idee e scelte, non vi è stata una posizione Europea, di quel Parlamento che ci racchiude sotto la stessa bandiera a stelle gialle. Non è stata un’altra occasione per dichiarare la pochezza di questa entità ancora in cerca di identità?

 

Per essere credibile nelle proteste bisogna essere decentemente attendibili nelle scelte.

Mi sembra veramente ipocrita chiedere ad un’atleta di rinunciare ad un evento che segna per sempre il suo essere atleta, un traguardo che alcuni preparano da anni, per molti un’occasione anagraficamente non più ripetibile, un evento capace di dare allo sport, anche nazionale, impulsi, voglie, iscrizioni che nessuna pubblicità al mondo riuscirà a fare, una vetrina per quei sport che non chiamandosi calcio non hanno molte occasioni per essere messi sulla bocca di molti. E poi noi, spettatori da poltrona, quelli che sparano sentenze e gridano le proprie ragioni continuano a usufruire dei prodotti che danno i soldi ai Cinesi per fare queste Olimpiadi, continuiamo a mangiare al Mc Donald, usare scarpe Adidas, pulirsi con i prodotti della Johnson e johnson, usare la macchine della Volkswagen e naturalmente ingurgitare Coca Cola a go go….

 

E se la logica vincente sarebbe accendere le fiaccole, non una ma centinaia, migliaia, milioni di luci che impediscono di nascondere, di non far sapere, di far finta di niente? Impegnarsi a non spegnere ma ad accendere la fiamma per far luce alla finestra del mondo intero. Perché anche gli altri, quelli che si nascondono dietro alla cattiva Cina, siano avvertiti.