La Sceneggiatura: Scrivere Per Vedere

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Per meglio comprendere l’inscindibile rapporto che lega le parole alle immagini, risulta emblematica l’analisi del prodotto filmico, da sempre fondato sulla sceneggiatura. Si tratta di una peculiare tipologia di testo, in cui lo scritto è reso in funzione dell’espressione cinematografica. La sceneggiatura infatti concilia elementi drammatico-espressivi con altri meramente tecnici e progettuali, spaziando dalla caratterizzazione dei personaggi al preventivo del budget per la messa in scena. Non si tratta dunque di un’opera a sé stante, piuttosto di un testo elaborato e complesso, in cui nulla è lasciato al caso. La sua struttura è aperta e instabile, poiché continuamente passibile di modifiche o ulteriori sviluppi: si considera definitiva solo quando non è più necessaria, ovvero al termine del film.

In virtù della sua matrice, ogni sceneggiatura che si rispetti è articolata in quattro stadi principali. Tutto si fonda sul soggetto (story concept), ossia lo sviluppo dell’idea drammatica. La storia del film è qui trascritta in formato breve, dalle tre alle dieci cartelle. Si tratta di un testo basilare, prettamente denotativo e privo di virtuosismi letterari: la sintassi è lineare, chiara e paratattica, i verbi sono al presente e delineano in modo sintetico personaggi, fatti, tempi e luoghi.La seconda fase è il trattamento, una narrazione più ampia e approfondita. Funzionale alla descrizione delle scene, si sviluppa in circa trenta cartelle e ha lo scopo di esplicare tutto ciò che è importante dal punto di vista narrativo, costruendo una parabola credibile dei fatti. Il passaggio successivo è la scaletta (step outline), la mera costruzione filmica. Il trattamento viene smembrato in scene, brevemente descritte e numerate secondo la loro successione. L’ordine seguito non è cronologico, ma rispecchia la presentazione dei fatti così come saranno mostrati. Sviluppata in circa cento cartelle, talvolta precede il trattamento o si sovrappone ad esso. Poiché mostra lo scheletro del film, serve a verificarne l’efficacia a livello tecnico, evidenziando eventuali problemi di ritmo, tempo e misure. Il quarto momento consiste nella vera e propria sceneggiatura, che affianca allo sviluppo narrativo una descrizione tecnica e visuale: da “forma letteraria” il racconto si fa “scena”, ed è quindi suddiviso in inquadrature e sequenze. Non sono rari il découpage tecnico (divisione in singole immagini, descrizione dei movimenti di macchina e della colonna sonora), né lo storyboard (sequenza di disegni che prefigurano particolari inquadrature). Si tratta comunque di opzioni facoltative, a totale discrezione del regista, mirate a facilitare le riprese. Quest’ultimo può essere presente anche in fase di stesura, o intervenire su alcuni aspetti della stessa in fase di lavorazione, assicurandosi il final cut.

Nel cinema contemporaneo accade spesso che le sceneggiature siano tratte da opere letterarie, diventando adattamenti filtrati da una o più soggettività. In questi casi, pur preservando l’ossatura del testo originale, serve una ristrutturazione adeguata al nuovo mezzo. Altro fenomeno interessante è poi la sceneggiatura desunta, cioè la riscrittura del film ad opera di un esperto cineasta, che con la moviola analizza il prodotto ormai montato, annotando ogni suo elemento costitutivo. Testi simili, nel caso di film particolarmente importanti, vengono tramutati in romanzi a posteriori.

Tra i più grandi esperti di cinema del panorama internazionale, Syd Field individua nei film – in particolare americani – un programma narrativo (paradigma) mutuato dalla tragedia aristotelica, e basato su tre atti principali. L’esordio (atto 1) descrive i personaggi a livello psicologico e fisico, li inserisce in un preciso contesto spazio-temporale e presenta un imprevisto, punto di svolta della narrazione. A esso segue lo sviluppo (atto 2), con il tentativo di superare l’ostacolo iniziale, l’ingresso di un nuovo personaggio e una complicazione dell’obiettivo drammatico. Il finale (atto 3) determina una svolta definitiva: il ritmo si intensifica fino al punto di non ritorno; il problema iniziale può essere risolto o meno, ma comporta sempre inevitabili cambiamenti.

Questo schema concettuale viene approfondito da Chris Vogler ne Il Viaggio Dell’Eroe, istituendo un parallelo tra opera letteraria e filmica, e individuando dodici tappe esperienziali. A partire dal Mondo Ordinario della quotidianità, il protagonista subisce il fascino dell’avventura e intreccia relazioni con personaggi benevoli o antagonisti; varcando la Prima Soglia si offre incondizionatamente all’impresa cui è chiamato, sino ad affrontare la Prova Centrale. Prima, però, è necessario che impari a discernere amici e nemici, poiché è la sua maturazione a prepararlo per il momento cruciale. L’ottenimento della Ricompensa dipende solo dalla sua condotta, e il ritorno al mondo iniziale non sarà mai più lo stesso.

Se è vero che le migliori opere filmiche riflettono gli schemi proposti dai suddetti cineasti, non è altresì detto che la corrispondenza tra questi e la sceneggiatura ne garantisca il successo: per ottenere un vasto gradimento, è anzitutto necessaria una buona storia.