Torino (Caterina Moser) – Santiago, Italia chiude la rassegna cinematografica nel capoluogo piemontese.
Uno dei film più attesi del Festival, per la popolarità in Italia del cinema di Nanni Moretti – già Direttore del TFF – ma anche per il suo apprezzamento anche all’estero.
Il documentario, infatti, è ambientato fuori dai nostri confini nazionali, anche se l’Italia ha un ruolo importante in questo film.
Moretti ricostruisce la storia del Cile nei mesi successivi al colpo di stato dell’11 settembre 1973, quando il generale Pinochet pone fine al governo democratico di Salvadore Allende.
A parlare sono giornalisti, registi, artigiani, operai, ma anche militari, fautori del colpo di stato, che hanno vissuto direttamente tutti quei momenti.
I testimoni, e le immagini di repertorio, raccontano un paese spaccato, con una fortissima contrapposizione sociale. Momenti di sbalordimento iniziale, seguiti dalla paura.
E che cosa c’entra l’Italia? L’ambasciata italiana ha svolto un ruolo importante in quel periodo: è stata rifugio per centinaia di oppositori al regime, consentendo loro di scappare, per raggiungere l’Italia.
Ci sono riferimenti, impliciti o espliciti, a ciò che sta accedendo ai giorni nostri: l’attualità di chi è costretto a scappare e raggiungere, oggi, il nostro Paese.
L’occhio (e la voce) di Nanni Moretti è presentissimo. Coordina e ordina le interviste tra loro, incalzando spesso i racconti dei protagonisti.
Compare davanti alla camera, soltanto per precisare “Io non sono imparziale“, parlando con uno dei militari. Un po’ come a ricordare che il suo è un progetto pensato e definito, sa che cosa vuole raccontare.
Verso la fine, i racconti delle esperienze di chi arrivato in Italia dal Cile 40 anni fa, si è integrato e non se ne è più andato.
“Siamo ricchi perché abbiamo due identità nazionali”, ricorda Victoria Sàez.