“Governerò per tutti, ma in particolare per coloro che non hanno nulla”, parola di Zapatero.
Lo spoglio dei voti è terminato, in Spagna, e il partito Socialista festeggia la riconferma, non senza segnali preoccupanti. Manca la maggioranza assoluta, quella che avrebbe potuto accelerare le misure contro il rallentamento dello sviluppo economico e l’aumento della disoccupazione; si giocherà quindi sul filo di lana, in equilibrio precario alla Camera Bassa e nella coscienza di molti elettori. Il Partito Popolare di Mariano Rajoy ha guadagnato seggi e terreno sugli avversari politici, e in percentuale ha ottenuto un successo di manica larga. Forse troppo? Non ancora, perché sotto la sede della radio vescovile Cope fanno spola e corteo a colpi di clacson le auto dei socialisti: attaccare la Chiesa, nella penisola iberica, porta consensi. E a volte salva dallo spettro dei commentatori beffati: Federico Jimenez Losantos (soprannominato Losdemonios, sbriciolatore di Zapatero nelle sue omelie-invettiva via etere) e Cesar Vidal, puro & casto difensore della famiglia, ahilui, divorziato. Quando si dice il buon esempio. Il paese andrà incontro a uno sfacelo Prodiano, l’azione dei separatisti dell’ETA non sarà isolata ma messa a tacere con trattati disgregativi, il Psoe non avrà risorse a sufficienza per fermare l’autodeterminazione dei Paesi Baschi.
Qualcuno, al potere, non ama il passato, tenta di cancellare quei trascorsi ultraevangelici che fecero della Spagna una terra di conquistadores, capaci di seppellire la cultura e le tradizioni del Sudamerica, imponendo il dogma cristiano come padrone e non come ospite, coinquilino. Una colpa storica, un macigno che pesa sulla coscienza di chi non riesce proprio a dimenticare un sopruso di portata cosmica. Il motto dei socialisti al governo è la libertà vi renderà veri, ossia il desiderio, il dovere e il bisogno convertiti in diritto, il sogno del Sessantotto. Con tutti i vantaggi e i rischi del caso: aborto libero, divorzio-lampo, matrimonio omosessuale, anticlericalismo, condanna degli errori della storia, dell’Inquisizione, la società come substrato da plasmare non più alla maniera di Velasquez o Zurbaran, ma con la grazia umile e sontuosa del Murillo.