Cosa bolle in pentola? Stufati principeschi nel Gundestrup Cauldron

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Londra -Il British Museum di Londra non poteva salutare meglio l’arrivo del nuovo direttore tedesco. Una mostra sull’arte e l’identità celtiche, ossia di quei “Keltoi” con cui i Greci intendevano sommariamente i popoli a nord delle Alpi. A riprova comunque che la tavola unisce gente e culture, fra armi e gioielli troneggia un manufatto che abbaglia per lavorazione e simbologia. 

Niente a che vedere con i banchetti etruschi, greci e romani, ma anche per i Celti intingere il pane nello stesso spezzatino significava comunione di intenti, intenzioni pacifiche, scambio di opinioni e una bella mangiata in spirito di amicizia. Generalmente si trattava di selvaggina stufata e servita in rustici calderoni in mezzo agli ospiti seduti in cerchio: magari non molto appetitosa per mancanza di spezie e condimenti mediterranei, ma è il pensiero che conta e la fantasia che mancava ai cuochi celti era compensata da quella dei decoratori di vasellame.
Nel Gundestrup Cauldron hanno superato se stessi. Questo manufatto datato 100 BC- AD 1, costituito da 13 pannelli d’argento con mirabolanti bassorilievi del peso di nove chili e di consistente importanza storica, fu ritrovato a pezzi in una torbiera in Danimarca nel 1891.

Testimonianza fondamentale se non per il gusto gastronomico celta di sicuro per quello figurativo. Per di più con intreccio di culture anticipando l’odierno concetto comunitario: dopo tutto i Celti assorbirono di tutto un po’ dai confinanti e gli autori del calderone in questione sembrano aver attinto dai traci, addirittura dall’India e le steppe asiatiche, mescolando felicemente divinità e leggende, come quella celta del calderone dell’abbondanza di Dagda, dove gustandone il contenuto si attinge una conoscenza universale. Cibo come nutrimento del corpo e dello spirito, la mensa come momento di aggregazione conviviale e rituale religioso, un’idea comune anche al cristianesimo.

Secondo i Celti in un calderone si poteva ottenere la moltiplicazione dei raccolti, quindi era bene ingraziarsi le divinità preposte, vedi il dio Cernunnos dalle corna di cervo, signore delle forze della Natura ma anche degli animali, che si auspicava finissero a pezzi per lo stracotto sacro. Seduto alla maniera di un fachiro, tiene in una mano il serpente dalla testa di ariete simbolo di fertilità e nell’altra il tipico collare espressione del livello sociale celta.

Di fronte, un’altra emblematica figura in una specie di pigiama, completo di berretta da notte, (ma dovrebbe essere un’armatura in stile sarmata) precipita un suo simile in una botte, il tutto fra soldati a piedi e a cavallo, completi di musici che soffiano in corni da guerra: scena sacrificale o di resurrezione? Magari celebrazione di qualche impresa del capotribù che offre la cena.

Qualche connessione fra il vino e il sangue? Nel calderone “magico” i celti dividevano spezzatino di cervo o cinghiale ma anche la credenza di purificazione e rinascita, tipo Santo Graal medievale.

In ogni caso, nei pannelli interni ed esterni, meraviglia di lavoro di bulino e punzone, c’è una profusione di divinità, guerrieri e animali strani nelle più disparate situazioni: animali reali e fantastici (inclusa l’aquila romana e la lupa, nonché un uomo che cavalca un delfino) tipo grifoni, elefanti, tori, felini vari, un capolavoro di fantasia per rendere le storie più gustose del contenuto del pentolone, sul cui fondo una dea uccide un toro con l’aiuto dei suoi cani, tanto per ribadire il concetto di caccia o… di sacrificio rituale.

Insomma il Gunderstrup Cauldron , probabilmente usato per feste enogastronomiche dell’età del ferro, è una festa per gli occhi con parecchio cibo per l’immaginazione.