INCHIESTA -RICERCA APPROFONDIMENTO SUL:Il Processo di Verona: il fiore all’occhiello della RSI

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Trenta uomini puntano i loro fucili contro la schiena dei cinque condannati a morte fatti sedere e legati alle sedie. Omicidio o esecuzione capitale? I trenta che formano il plotone armato hanno una divisa, un po’ inusuale, che dà alla scena il crisma dell’ufficialità.

Sono i Militi della Polizia Federale che, di lì a pochi mesi, verrà sciolta. L’ufficiale comandante ostenta il grado di maggiore. Fino a pochi mesi prima era solo un capo manipolo (sergente) della Milizia Fascista. I cinque fucilati non sono individui sconosciuti: tre di loro ci sono ex Ministri, uno è un Maresciallo d’Italia quasi ottantenne, un altro, Galeazzo Ciano, è, nientemeno, il genero del Capo dello Stato Benito Mussolini. L’ufficiale dà il segnale con il braccio destro alzato: la scarica di fucileria risuona nell’aria. I cinque, colpiti a morte, cadono riversi sul terreno. E’ il momento dei colpi di grazia sui corpi rantolanti. Sono passate da poco le nove del mattino di martedì 11 Gennaio del 1944. La scena si è consumata al poligono di tiro di Forte Procolo a Verona. E’ stato l’epilogo del Processo di Verona: una “cupa farsa giudiziaria o una vendetta” che i fascisti più fanatici hanno voluto perpetrare per punire alcuni di coloro che avevano affossato definitivamente il regime fascista, approvando l’ordine del giorno proposto da Dino Grandi al temine della riunione del Gran Consiglio Fascita tenutosi a Roma il 25 Luglio del 1943. Il Processo di Verona non è stato uno dei molti episodi tragici che hanno caratterizzato la vita della Repubblica Sociale Italiana (RSI). E’ stato quello più cruciale, l’evento che meglio di ogni altro ha connotato la barbarie della RSI e che ne ha determinato l’esiziale destino finale.

Esso ha trovato il suo primo fondamento politico-ideologico e programmatico (non potendo avere, come vedremo, alcuna giustificazione giuridica) proprio nel discorso che il redivivo Mussolini ha tenuto, alla radio di Monaco, il 18 Settembre 1943. Dopo aver lungamente recriminato sul passato, incolpando il Re, i massoni ed i plutocrati dell’industria, e dopo aver riassunto gli infausti avvenimenti intercorsi dal 25 Luglio fino al giorno in cui è stato liberato dai tedeschi mentre era ostaggio di Badoglio sul Gran Sasso, il Duce dichiarava la costituzione di un nuovo Stato repubblicano, dicendo testualmente “Quando una Monarchia manca a quelli che sono i suoi compiti, essa perde ogni ragione di vita. Quanto alle tradizioni, ve ne sono più repubblicane che monarchiche: più che dai monarchici, l’unità e l’indipendenza d’Italia fu voluta, contro tutte le Monarchie più o meno straniere, dalla corrente repubblicana che ebbe il suo puro e grande apostolo in Giuseppe Mazzini”. Mussolini affermava che il nuovo Stato doveva essere ”Nazionale e sociale nel senso più lato della parola: sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini”. Indicava poi quelli che aveva identificato come “I nostri postulati”. Il terzo “postulato” (i primi due riguardavano la ripresa della guerra a fianco della Germania e la ricostituzione delle Forze Armate) imponeva l’obbligo tassativo di “Eliminare i traditori e in particolar modo quelli che fino alle 21,30 del 25 luglio militavano, talora da parecchi anni, nelle file del partito e sono passati nelle file del nemico”.

L’atteggiamento di Mussolini, dopo la sua liberazione da parte dei tedeschi (il blitz di Campo Imperatore sul Gran Sasso) è stato quello di un uomo che ormai non aveva più il controllo della propria situazione. Non poteva, tuttavia, scrollarsi di dosso un nome e un mito che lui stesso aveva creati. Trascinato dagli eventi, Mussolini ha sottoscritto una tragedia che probabilmente lui per primo avrebbe volentieri evitato. Impossibilitato, non ha saputo o non ha potuto sottrarsi ad un gioco perverso più forte della sua volontà. Da qui sono nate le premesse che hanno portato al Processo di Verona contro i “traditori” della causa fascista. Ma chi erano, dunque, questi “traditori”? Meritavano questa infamante qualifica? Come già accennato, erano i diciannove membri del Gran Consiglio che avevano votato a favore dell’ordine del giorno presentato da Dino Grandi. A prescindere dal contenuto, Grandi aveva compiuto un atto legittimo, sottoponendo un ordine del giorno al voto degli astanti. Altrettanto legittimi erano stati i voti espressi dall’assise dei gerarchi convocata da Mussolini. Lo stesso dittatore, pur non avendo l’obbligo di farlo, aveva messo ai voti l’ordine del giorno stilato da Grandi. I diciannove che avevano votato a favore si erano comportati correttamente nel rispetto delle leggi vigenti. La conseguenza inevitabile di quel voto è stata la rimozione del Duce dalla carica di Capo del Governo.

CONTINUA…….